Venerdì, Aprile 25, 2025

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

I cookies sono dei piccoli file di testo che, trasferiti sull’hard disk del computer dei visitatori, consentono di conoscere la frequenza delle visite e quali pagine del sito vengono visitate dai netizen. Si tratta di dati che non permettono di procedere all’individuazione dell’utente (ma la sola provenienza dell’azienda), non incrociamo le informazioni raccolte attraverso i cookies con altre informazioni personali. La maggior parte dei browser può essere impostata con modalità tali da informarla nel caso in cui un cookie vi è stato inviato con la possibilità, da parte sua, di procedere alla sua disabilitazione. La disabilitazione del cookies, tuttavia, può in taluni casi non consentire l’uso del sito oppure dare problemi di visualizzazione del sito o delimitare le funzionalità del medesimo sito, pur se limitatamente ad aree o funzioni del portale.

La disabilitazione dei cookies consentirà, in ogni caso, di accedere alla home page del nostro Sito. Non viene fatto uso di cookies per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento permanente degli utenti. L’uso di c.d. cookies di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione (costituiti da numeri casuali generati dal server) necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito. I c.d. cookies di sessione utilizzati sul Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli utenti e non consentono l’acquisizione di dati personali identificativi dell’utente. Coloro che intendono avvalersi della sezione riservata del sito prestino attenzione alla specifica informativa anche relativamente all’uso dei cookies.

De Masi F. - L’organizzazione patologica del ritiro nelle patologie gravi (2011)

 “Rifugi della Mente – Processi di sviluppo”

Roma, 1-2 ottobre 2011

 

L’organizzazione patologica del ritiro nelle patologie gravi

FRANCO DE MASI

Gradualmente diventò uno dei tanti che non sentono di esistere per se stessi come esseri umani completi.….mentre era a scuola, e più tardi al lavoro, c’era un’altra vita che procedeva nei termini della parte dissociata....ella viveva in quella che diventò una sequenza organizzata di fantasie.                       

                                                                                   Winnicott

Tra tutte le organizzazioni patologiche quella più comune e più gravida di conseguenze è il ritiro psichico. La concettualizzazione di questa forma di struttura dissociata della mente permette di distinguere le fantasie infantili che fanno parte dell’area transizionale, quella del gioco e delle fantasie ad occhi aperti, da un’area che impedisce lo sviluppo psichico ed emotivo e rinserra il bambino in uno spazio claustrofilico. Vengono riportati alcuni esempi di ritiro: quello sensoriale, quello dell’identificazione in personaggi della fantasia, quello sessualizzato e quello distruttivo. In alcuni casi il ritiro infantile verrà a costituire la fucina da cui prenderà forma lo sviluppo psicotico.

L’ipotesi che avanzo in questo scritto è che nelle patologie più complesse non sia sufficiente parlare di difese primitive, che pure esistono, ma occorra considerare l’azione delle costruzioni psicopatologiche. La costruzione psicopatologica è qualcosa di più e di diverso dalla difesa primitiva: rappresenta una nuova costruzione  che non  è presente nello sviluppo originario.

Le costruzioni psicopatologiche si formano silenziosamente nell’infanzia per esprimere successivamente la loro potenzialità patogena; favorite spesso da traumi emotivi, acquistano ben  presto uno sviluppo indipendente.

Il mio punto di vista è che i nuclei psicopatologici che sostengono lo stato di malattia nei pazienti più complessi non equivalgono ai meccanismi primitivi presenti nei primi stadi dello sviluppo. Il patologico non è sinonimo di  primitivo.

In ciò mi differenzio dagli autori post-kleiniani per i quali la psicopatologia è alimentata da difese che possono essere utili e fisiologiche nella prima infanzia ma che diventano patogene se permangono nell’età successiva. Piuttosto penso che nei soggetti destinati ad ammalarsi si formino sin dall’infanzia strutture specifiche che non si ritrovano nello sviluppo normale.

Pur essendo primitive, le costruzioni psicopatologiche non corrispondono alle normali difese infantili; crescono insieme alla personalità che si sta sviluppando, rimangono latenti per poi esprimersi più tardi nella loro potenzialità patogena.

La distinzione tra difese e costruzioni o organizzazioni psicopatologiche permette di avere un punto di vista migliore quando trattiamo quei casi in cui entrano in gioco strutture mentali che sono difficili da individuare ma che sostengono lo stato di malattia.

In sintesi, si potrebbe affermare che, mentre le difese si muovono nell’ambito della nevrosi, le costruzioni psicopatologiche tendono a portare il soggetto sul terreno della psicosi. 

Contrariamente alle difese, che non distruggono completamente la consapevolezza, le costruzioni psicopatologiche tendono a distorcere la realtà psichica sino a distruggerla. Quando il paziente esce da tali stati mentali è profondamente angosciato e depersonalizzato proprio perché non dispone più della percezione emotiva che gli permetterebbe di cogliere la realtà psichica.

Costruzioni di questo tipo sono evidenti nelle perversioni, nelle condizioni borderline e psicotiche, dove il paziente può regredire ipnoticamente verso uno stato di  ritiro piacevole che lo allontana dalla realtà emotiva.

Voglio ora parlare di una struttura patologica che a mio avviso è specifica dei pazienti difficili ed è molto pericolosa perché tende a colonizzare in modo progressivo  la parte sana della personalità.

Il libro di John Steiner I rifugi della mente (1993) è un efficace  e meritorio tentativo di concettualizzare questa forma di organizzazione patologica.

Steiner concepisce il rifugio della mente come un  insieme di meccanismi di difesa e sistemi di relazioni oggettuali che finiscono per costituire una vero e proprio luogo psichico in cui il soggetto si ritira in presenza di emozioni che vive come intollerabili.  

“Il rifugio – scrive Steiner– funziona come una zona della mente in cui non si deve affrontare la realtà, in cui le fantasie e l’onnipotenza possono esistere senza controllo, e qualunque cosa è permessa. È  spesso questa la caratteristica che costituisce l’attrattiva del rifugio.” (p. 20)

Il rifugio, che opera per difendere il paziente da angosce schizo-paranoidi e depressive, può assumere aspetti diversi, che vanno dal vivere in un mondo romantico e fiabesco dove tutto è idealizzato, fino al ritiro masturbatorio all’insegna dell’eccitamento pornografico.

Nei rifugi dominano la fantasia onnipotente, le relazioni perverse, il sado-masochismo e il narcisismo, tutti elementi che sembrano fornire al Sé un senso di pseudo-sicurezza e pseudo-protezione.

Le conseguenze principali dell’attivazione delle organizzazioni patologiche sono, secondo Steiner, il ritiro dalle relazioni oggettuali e l’inibizione dei processi dello sviluppo psichico. L’esistenza di un rifugio è testimoniata in analisi dalla comparsa nei sogni di strutture tossicomaniche violente e perverse (sette ideologiche, regimi totalitari, gang delinquenziali e mafiose) oppure di case disabitate, grotte, fortezze, isole in cui il soggetto si ritira. 

Il ritiro, come preferisco chiamarlo, può anche mantenersi in equilibrio per un periodo  prolungato, ma non è destinato a rimanere statico, anzi  solitamente tende a espandersi e a sottomettere il resto della personalità. Questo spiega la potenzialità patogena di alcuni ritiri che, costituitisi nell’infanzia, potranno arrivare anche a un esito psicotico nell’età adulta. Spesso i genitori psicologicamente assenti non  capiscono che il bambino non è solo l’essere mite e tranquillo che appare ma è già ritirato in un mondo onnipotente dove  sta costruendo la sua psicopatologia.  Poiché il ritiro altera progressivamente il contatto con la realtà emotiva e cancella la percezione dell’abbandono e dell’assenza emotiva dei genitori, questi bambini non segnalano il loro disagio.  Alcuni  di essi possono costruire un ritiro per sottrarsi ad esperienze emotivamente difficili o traumatiche come, per esempio, una madre assente o perennemente angosciata e intrusiva.  In questi casi le interferenze di tipo ambientale portano a un fallimento dell’esperienza di una buona dipendenza. E’ importante ricordare che, una volta avviato, il processo procede in modo autonomo.

 

Il ritiro è una misura difensiva ma anche, e soprattutto, un luogo di piacere in cui il paziente si sente capace di creare dal niente i propri oggetti. Tale luogo deve essere mantenuto segreto per continuare a esistere. Così avviene per lungo tempo nell’analisi di questi pazienti, che comunicheranno l’esistenza di questo luogo segreto solo a terapia avanzata. Spesso alcuni silenzi ostinati nel corso del trattamento corrispondono ai momenti in cui il paziente sta coltivando lo spazio segreto del ritiro.

Avvalendosi di continue identificazioni con personaggi della fantasia il ritiro ha un carattere soprattutto sensoriale.  Una struttura patologica di questo tipo crea dipendenza e  svuota il resto della vita emotiva danneggiando, a volte in modo irreversibile, lo sviluppo dell’identità personale.

Come ho detto prima, il ritiro psichico  presenta differenti configurazioni; una sua caratteristica importante è quella di presentarsi come “una realtà altra” in cui il paziente vive. 

In un precedente lavoro (2006) ho distinto l’immaginazione intuitiva dalla fuga nella fantasia e ho sottolineato come sia importante differenziare  le immaginazioni positive necessarie  a mantenere aperto il futuro  dalle costruzione di mondi paralleli scissi dalla realtà.  

Queste ultime costruzioni rappresentano difese altamente patogene perché, anche quando non arrivano a esiti clamorosi, alterano quelle funzioni percettivo-emotive necessarie all’integrazione della vita psichica.   

Porterò un’esemplificazione di questo tipo descrivendo i rifugi psichici che si strutturano nelle dipendenze patologiche da Internet.  Spesso i rifugi nel mondo della rete informatica cominciano sin dall’infanzia e iniziano con una eccessiva dipendenza dai videogiochi (De Masi 2009).

Alberto, un bambino di sei anni, viene portato in consultazione dalla madre preoccupata  per la sua eccessiva dipendenza    dai videogiochi. La sua attrazione per questo mondo  non   finisce nemmeno quando smette di giocare, ma continua per ore. Alberto si identifica con i personaggi del videogioco oppure ne inventa altri. A volte, dice la madre, il bambino cade a terra e “fa il morto”. In quel momento sembra che sia davvero assente dal mondo e  che  tragga un enorme piacere da questo stato mentale. Ne è talmente affascinato da ripeterlo continuamente. Una volta, approfittando della disattenzione dei genitori che erano occupati in un ricevimento in giardino con gli amici, era davvero scomparso. Gli adulti lo  avevano cercato invano ed erano così preoccupati da voler avvertire la polizia. Poi Alberto era improvvisamente ricomparso    per nulla preoccupato e  anzi   meravigliato della preoccupazione dei genitori. Non aveva per nulla pensato alla loro ansia  ma si era molto divertito al pensiero di essere scomparso  per loro mentre  lui poteva vederli.[1]

In questo bambino il ritiro nei videogiochi e nel mondo della fantasia sembra davvero   preminente rispetto al mantenimento di un legame con la realtà. Il tentativo di “fare il morto” o di scomparire anche per periodi prolungati alla vista dei genitori diventa un eccitante esercizio di ritiro dal mondo.

Caratteristica di questi stati non è la proiezione verso il mondo o la curiosità ma l’uso degli organi percettivi per costruire stati artificiali di benessere. Quando l'immaginazione smette di avere un rapporto potenziale con la realtà, diventa essa stessa la realtà.

La costruzione nella fantasia di mondi virtuali e paralleli ha un potere altamente seduttivo che impedisce al paziente di riconoscerne la natura patogena.

Quando questi mondi compaiono nel materiale clinico o nei sogni è importanti descriverli in dettaglio al paziente, mettendo in luce la loro natura patogena. Il paziente infatti scambia  ciò che è piacevole con  ciò che è buono e utile per la mente. 

Alcuni ritiri

Farò ora un breve accenno ad alcuni ritiri psichici e alla loro evoluzione.

 a) Il ritiro sensoriale

Una paziente, reduce da un ricovero in ospedale, combatteva i suoi stati di disperata solitudine immergendosi in fantasie psicotiche: con la sigaretta accesa poteva creare una mitica visione di piacere, l’illusione di essere come uno sceicco circondata da baiadere. Quando usciva da questo stato mentale era depersonalizzata e in preda al panico, non ricordava più nulla di sé e del mondo che aveva cancellato. Parlava allora di infarti psichici.

 

Questo esempio mostra come la creazione di una realtà sensoriale “altra” comporta una reale cancellazione della realtà psichica. Il paziente ne diventa consapevole solo a posteriori quando  la condizione drogata è venuta meno.

Un esempio è fornito da un paziente che chiede un’analisi a venticinque anni. Tra i vari motivi, uno tra i meno importanti, a suo dire, è il feticismo per i capelli che coltiva da tempo. Questa passione è cominciata da bambino quando disegnava bambine con la chioma; ancora adesso con la sua ragazza si diverte ad asciugarle i capelli e a pettinarla. Lui  stesso sogna di avere capelli lunghi e   fantastica  di avere una treccia che gli ondeggia dietro.  Con queste fantasie centrate sui capelli arriva a uno stato estatico di beatitudine, accompagnato o meno dalla masturbazione. Questa predilezione per i capelli femminili sembra legata a un rapporto infantile erotizzato col corpo della madre di cui indossava la biancheria intima in sua assenza.

Il paziente sembra molto infantile e spesso adopera un linguaggio affettato e dolciastro. In una seduta descrive  che, appena sveglio, aveva cominciato a fantasticare sui capelli e gli era venuta voglia di masturbarsi. Ma poi  aveva cominciato a ricordare i compagni di studio del passato e  aveva intuito qualcosa di importante riguardo ad alcuni conflitti che   avevano funestato la relazione con loro.  “Avevo percepito una voglia di masturbarmi e poi dopo questo flash di pensieri mi è sparita la voglia. Ho sentito  che queste  intuizioni cancellavano le   fantasie che stavo facendo sull’avere i capelli lunghissimi...”

Questo passaggio sembra molto importante. Il paziente stesso comincia a differenziare lo stato di benessere sensoriale,  da lui creato nel momento in cui possiede l’oggetto feticistico, dallo stato mentale libero dalla seduzione del piacere, in cui diventa capace di pensare e di riflettere. In questa seduta il paziente sembra mostrare un’iniziale consapevolezza  della natura del ritiro sensoriale e di come quest’ultimo cancella la capacità di pensare.

 

b) Vivere in personaggi di fantasia.

Un padre telefona per sollecitare un appuntamento per la figlia[2] che  sta molto male: da due anni non riesce più ad andare a scuola e rimane tutto il giorno a casa. Ha interrotto due anni prima una psicoterapia. Dorme dalla mattina al pomeriggio inoltrato mentre sta sveglia durante la notte per comunicare con persone contattate in Internet. La mattina molto presto, ancora prima dell’alba, esce di casa da sola e torna verso le otto quando le strade cominciano a popolarsi di persone che vanno al lavoro. A volte rimane fuori, si nasconde in qualche angolo buio della cittadina in cui abita e occorre andare a cercarla per  riaccompagnarla a casa.

Agnese, di diciotto anni, arriva  alla prima seduta in compagnia del padre. È  vestita di nero con un abito lungo e con una cuffietta ottocentesca tanto da sembrare a prima vista una suora. Sul volto bianchissimo sono evidenti le labbra dipinte di nero come il vestito.

La conversazione cade sul suo abbigliamento. Agnese dice che lo stile dell’abito è un dark-gotico-Lolita. Non le piace molto perché è stato fatto in Italia, sta aspettando degli abiti giapponesi che ha ordinato in un sito Internet che fa capo a un cantante rock di nome Mana. Mana è un maschio travestito; per Agnese è come un dio. Quando avrà gli abiti, diventerà una piccola bambola di Mana e sentirà di  appartenere alla sua schiera di persone speciali.

Uno dei motivi per cui non esce durante il giorno è che la luce solare potrebbe crearle una pigmentazione diversa da quella bianchissima di Mana. 

Negli incontri successivi parla dell’attrazione che il pallore dei cadaveri suscita. Scarica da Internet film giapponesi con personaggi estremi che la affascinano: situazioni cannibaliche, storie di prostitute che diventano ricchissime, figlie incestuose che uccidono il padre. Ha anche una curiosità morbosa per il sangue; per esempio, se c’è un incidente automobilistico vuole vedere la persona ferita o morente.

Nel corso dei continui conflitti con la madre, che non la capisce e che le starebbe sempre addosso, fa continue fantasie distruttive. Vorrebbe essere come la protagonista di una serie di cartoni giapponesi che può distruggere con la mente tutto quello che vuole. Anche quest’ultima odia la madre che l’ha buttata in un pozzo. Ritiene che le streghe esistano realmente e che abbiano poteri conferiti dai demoni nel trasmettere il male agli altri. Quando può, scrive piccoli racconti o poesie, tutti molto disperati, tenebrosi o macabri.

Dice di odiare il mondo e di non avere alcuna emozione per le sofferenze umane. Spesso fantastica di togliersi la vita. Lo vuole fare perché così potrebbe raggiungere un suo compagno di scuola cui era affezionata e che è morto giovanissimo di leucemia. Lo conosceva appena e aggiunge che due persone si conoscono meglio se non si vedono…

Guarda continuamente film a contenuto sanguinario. Così si eccita, partecipa al male ma sa di non danneggiare nessuno. Da qualche tempo ama farsi piccoli tagli sulle braccia: provare dolore le fa piacere.

Spesso non riesce a dormire, tormentata dalla visione di due occhi rossi che la guardano fissi. Se deve fare il bagno ha paura che prima o poi dai rubinetti fuoriesca il sangue. Eppure le fa piacere pensarsi come morta, in uno stato di quiete e senza angosce.

In queste sedute Agnese porta un sogno molto angoscioso: “è  al mare e nell’acqua c’è uno squalo che la fissa. Mentre anche lei lo guarda  si rende conto che  ha gli stessi occhi dello squalo. Non fa in tempo a rendersi pienamente conto di questa somiglianza perchè lo squalo si avvicina con i suoi denti aguzzi e lei finisce per essere divorata.”

La paziente è  attratta dalla magnificenza della figura di Mana che la seduce e le fa credere che esista una vita superiore,  senza i limiti e le difficoltà ordinarie.

Lei nutre un odio infinito per il mondo, ed è questa una delle ragioni per cui è diventata un animale notturno che sfugge agli sguardi degli altri esseri umani. L’altra realtà è una sua costruzione, dove tutto è bello e delicato, contrapposta alle brutture e alle volgarità del  mondo reale.

In questo ritiro, però, non esistono solo figure idealizzate, ma anche pericolose entità, figure femminili piene di cattiveria e senza umanità: è  proprio da qui che scaturisce il pericolo di essere completamente invasa dalle figure distruttive (le streghe, le figlie incestuose o assassine) con cui rischia di identificarsi completamente.  

Il sogno, infatti, mostra il pericolo di perdere contatto con le sue parti buone e di essere completamente inghiottita da un animale assassino.

c) Il ritiro sessualizzato

Un carattere specifico del ritiro psichico è la capacità di disorientare e catturare il soggetto che ne è portatore.  Un esempio chiaro di questo modo di operare è  descritto nel sogno di una paziente  centrato sul potere seduttivo e confondente di un ritiro sessualizzato.

 

Franca, di venticinque anni anni, viene in analisi perché “ha numerosi problemi emotivi” tra cui l’incapacità di avere una relazione con un ragazzo, pur desiderandola. 

Non ha mai avuto relazioni significative se non con qualche amica durante l’adolescenza; confessa di avere un mondo fantasioso popolato da personaggi maschili con cui immagina un futuro radioso. Per esempio, crede che Roberto, un giocatore della nazionale di pallacanestro, cadrà follemente innamorato di lei e diventerà l’uomo della sua vita.

Il carattere confondente del ritiro si rivela in un sogno angoscioso, portato subito dopo l’inizio dell’analisi: “C’era una bambina piccola nella casa della mia infanzia. Io abusavo di lei, mi toccavo e la toccavo. Poi lei improvvisamente diventava grande e voleva continuare, ma io le dicevo che non era giusto, che avrebbe fatto quelle cose con la persona che amava. Lei ribatteva che non era nulla di grave, che andava bene. Io non volevo e dicevo che era sbagliato…era terribile.”

La paziente aggiunge che per tutta la mattina ha pensato se per caso, da piccola,  fosse stata abusata. Poi ha intuito che la bambina del sogno era lei. Questa cosa è proprio dentro di lei.

L’interpretazione del sogno verte sulla sua paura di essere dominata da una forza che la spinge verso un ritiro sessualizzato, una situazione che è cresciuta con lei sin da bambina (nel sogno c’è la casa dell’infanzia). Lei teme che questa organizzazione possa dominarla e impedirle altre relazioni significative.

Franca dopo questa interpretazione diventa calma e aggiunge: “Sin da piccola ho avuto un’attrazione precoce per gli stimoli sessuali…in casa c’erano riviste porno ed ero anche eccitata dai film erotici; poi, molto presto, ho scoperto la masturbazione e mi sono isolata. Ho una gran paura di un contatto vero, temo di non esserne più capace. Capisco che devo uscire da questo mondo chiuso in cui mi isolo e mi procuro piacere da sola, ma ho paura.”

In questa paziente è evidente un conflitto tra la costruzione psicopatologica (il ritiro sessualizzato) e la parte sana, relazionale, della personalità. Nel sogno Franca teme che il ritiro potrebbe  catturarla e  imprigionarla completamente. Anche se il ritiro masturbatorio ha preso avvio nell’infanzia come probabile risposta a un ambiente poco ricettivo, questa struttura si è rafforzata negli anni e tende a invadere il resto della personalità.

d) Il ritiro distruttivo

Nel ritiro distruttivo la personalità è dominata da una figura patologica che si ispira a una  strategia delinquenziale e che viene idealizzata e venerata. Il nucleo delinquenziale esercita il suo potere intimorendo o seducendo il paziente con una serie di promesse falsificate.

Un esempio di questo tipo è dato da un paziente Vittorio, che solo  dopo un certo periodo d’analisi rivela all’analista di essere   identificato con Nerone; il personaggio dell’imperatore romano giustifica le sue violenze e il suo diritto alla vendetta distruttiva.   

Un altro caso più grave è quello di un giovane paziente, Alfredo, progressivamente colonizzato da un’organizzazione assassina di tipo nazista. La sua fantasia è di vivere in un bunker, continuamente preso dalla sua attività di chirurgo che si eccita al pensiero di avere nelle sue mani la vita o la morte degli altri. Egli è talmente eccitato dalla vista del sangue che comincerà a considerare il proprio corpo come oggetto di tortura, tagliandosi e procurandosi delle ferite.

 Come ho già detto, l’organizzazione distruttiva è strutturata come una banda che controlla tutti i membri in modo che debbano collaborare attivamente e non possano lasciare il gruppo. Quando il paziente fa dei progressi  compaiono sogni in cui  è raffigurato il suo tentativo di ribellione ma anche le ritorsioni o le minacce della banda delinquenziale, spesso rappresentata come un gruppo   di teppisti o una vera organizzazione mafiosa (Rosenfeld, 1971; Meltzer, 1973).

È molto importante comprendere che il ritiro psichico dei pazienti complessi non è una struttura statica ma tende a svilupparsi e a soggiogare il resto della personalità. Si tratta, in altre parole, di una struttura delirante intrapsichica, che tende a catturare la parte sana a  scapito di una progressiva distorsione della realtà emotiva.   

La componente ambientale nella formazione del ritiro psicotico

La mia ipotesi è che originariamente i bambini destinati a diventare psicotici abbiano avuto genitori che non solo non hanno saputo accogliere emotivamente le loro proiezioni, ma che a volte hanno   invaso il bambino con i propri vissuti angoscianti. In questo caso il ritiro si costituisce come una difesa protettiva che tende a escludere il bambino da ogni contatto con il mondo relazionale.  Nel caso dei bambini destinati a diventare psicotici il ritiro è la fucina da   cui trae alimento  la parte psicotica della personalità destinata più tardi a colonizzare la parte sana. Spiegherò meglio e con maggiori dettagli l’evolversi di   questo processo nei capitoli  relativi allo stato psicotico. In particolare va sottolineato che questi bambini costruiscono una realtà parallela di tipo sensoriale, un altro “mondo” alimentato da fantasie immaginarie, che li accompagna per tutta la loro esistenza e che, alla fine, darà vita all’esperienza delirante.

Nel caso del ritiro psicotico si tratta di un luogo segreto ma conosciuto dal paziente.

Il termine dissociazione non si riferisce, quindi, a una scissione verticale operata all’interno della personalità,  in cui una parte non conosce quello che l’altra  nasconde, ma piuttosto al fatto che il mondo del ritiro psichico è alimentato unicamente da un’attività fantastica che non si incontra mai con la realtà. Per usare una metafora ottica è come se il paziente potesse dividere la visione in due: con un occhio può vedere  la costruzione in fantasia del ritiro, con  l’altro può vedere la realtà; dato che le due visioni   non si incontrano,   non si arriva alla visione binoculare che potrebbe produrre un insight.   I due funzionamenti sono tenuti  separati uno dall’altro, e  rimangono in parallelo senza  incontrarsi; quando il paziente mette in funzione il mondo della fantasia dissociata  oblitera l’accesso alla percezione della realtà. Per usare un’ulteriore metafora, la sua mente   funziona come una radio che, quando è sintonizzata su una stazione radiofonica, esclude tutte le altre. Questa modalità di funzionamento farebbe pensare che le due funzioni, quella del ritiro e quella della realtà psichica, abbiano la stessa localizzazione cerebrale per cui quando questa è occupata dalla prima funzione non è in grado di dare spazio alla seconda. Da qui la difficoltà di critica e di elaborazione durante l’esperienza delirante da parte del paziente psicotico. 

Ho cercato di mostrare in questo lavoro come il ritiro psichico sia un’organizzazione mentale che, accompagnando l’individuo nel corso dell’esistenza, diventa una fonte continua di  patologia. Il ritiro non è solo un luogo in cui si può sostare al riparo dell’angoscia, ma è soprattutto una fucina che produce realtà alternative al mondo reale. Esso corrisponde alla creazione di una realtà sensoriale ed immaginativa che sottrae linfa allo sviluppo emotivo e psichico perché  chiude i canali in cui transitano le esperienze utili alla crescita. In particolare il ritiro indebolisce e deteriora in  vario grado il senso di identità personale sia quando si presenta come un insieme di fantasticherie piacevoli sia quando si realizza nelle forme estreme di un mondo dissociato come nello stato psicotico.  

Ed ora poche parole sull’atteggiamento da mantenere per aiutare il paziente a uscire dal ritiro.

Raramente il paziente comunica all’analista l’esistenza del ritiro, le fantasie connesse e il modo in cui egli ne usufruisce, anzi  lo difende e lo valorizza come   un luogo segreto e prezioso. Sta dunque alla capacità dell’analista di individuarne l’esistenza e i contenuti al fine di trasformarlo.  Quando questo processo è avvenuto, l’analista può descrivere  le finalità del ritiro e mostrare come il suo continuo uso  abbia  un effetto deteriorante, cosa di cui il paziente non è consapevole. Il paziente, infatti, pur essendo cosciente del fatto  di avere una vita segreta che si svolge nel ritiro, non è consapevole degli effetti  distruttivi sulla sua  personalità. Il ritiro infatti  sottrae energia  vitale e  danneggia lo sviluppo emotivo perché offre una facile alternativa al mondo relazionale. Non a caso questi pazienti appaiono nella loro vita esterna scarsamente vitali, apparentemente indifferenti a quello che li circonda e incapaci di  portare a temine i compiti necessari alla vita. Ogni impegno nel mondo reale diventa per loro fonte di angoscia.

Il lavoro analitico in questa fase consiste essenzialmente nel potenziare la consapevolezza del paziente, descrivendo continuamente la dinamica  per cui  la parte patogena  attira il paziente nel ritiro  staccandolo dalle sue relazioni e offrendogli i falsi vantaggi di una vita dissociata dalla realtà. La mia esperienza clinica mi porta a pensare che le interpretazioni intrapsichiche,  quelle che descrivono la dinamica e il rapporto reciproco tra parti contrapposte della personalità, sono in questo caso molto utili per potenziare  l’insight del paziente. Le interpretazioni di tipo transferale, che mettono in luce l’uso che  viene fatto dell’analista, sono naturalmente importanti ma non sono altrettanto efficaci per rendere il paziente  consapevole del continuo danno che egli procura a se stesso e alla sua capacità di pensare. In altre parole, io tratto il ritiro come una struttura drogata che tende a svuotare la vitalità della persona e sacrifica la sua crescita emotiva al potere del piacere sensoriale. 

Penso che solo in  questo modo si può stabilire un legame tra la parte sana, sempre in pericolo di essere   insidiata e indebolita dagli allettamenti del ritiro, e il lavoro dell’analista, il cui scopo è aiutare  il paziente a uscire dalla confusione e operare finalmente una distinzione tra ciò che è piacevole, ma che si rivela distruttivo,  e ciò che è buono e costruttivo.

Bibliografia

DE MASI F.  Vulnerabilità alla psicosi. Raffaello Cortina, Milano 2006.

DE MASI F.  Quale mente nella rete? in  La psiche nella rete pp. 21-35   Psicoanalisi e Metodo IX/2009,  edizioni ETS

MELTZER D. Stati sessuali della  mente. (1973).  Tr. it. Armando, Roma 1973.                 

ROSENFELD H. A clinical approach to the psychoanalytic theory of  life and death instincts: an investigation into aggressive aspects of narcissism.   Int. J. Psycho-Anal., vol. 52, 169-177 (1971).

STEINER J. I rifugi della mente. (1993).  Tr. it. Bollati Boringhieri, Torino 1996.



  [1] Ho in mente altri tre casi di pazienti psicotici adulti che ricordavano come da piccoli erano eccitati dallo “scomparire”, che per loro equivaleva a “finire in un altro mondo”.

[2] Ho discusso questo caso in supervisione con il dr. Giancarlo  Scotti.

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login