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Neri C. - Trauma e Funzione narrativa in psicoanalisi. Discussione al lavoro della dr.ssa Ginzburg (2011)

21 ottobre 2011

Trauma e Funzione narrativa in psicoanalisi *

Claudio Neri

 

1.                  Alessandra Ginzburg (2011, p. 10) - nelle prime pagine de Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi - fornisce una precisa indicazione di metodo: “[…] rovesciando l’abituale condizione che vede la pretesa degli psicoanalisti di illuminare il testo letterario [con le loro teorie, nel mio libro] è invece il testo [letterario] ad essere visto nella sua capacità di espansione dello strumento psicoanalitico in quanto portatore di significati ben più vasti di quelli evocati dal testo stesso.”

L’indicazione di Alessandra Ginzburg mi è sembrata così interessante, da desiderare di metterla alla prova. Alessandra fa interagire testi letterari di Stevenson, Kafka, Hoffman, Tozzi, Morante e soprattutto Proust con le teorie psicoanalitiche sviluppate da Ignacio Matte Blanco e Armando Ferrari. Io tenterò di mettere in risonanza un breve racconto di Truman Capote - House of Flowers - con alcune interrogativi relativi al trauma ed alla possibilità e limiti della “Funzione narrativa” attivata nel corso di un’analisi.

2.                  Il racconto di Truman Capote, House of Flowers è ambientato nell’isola di Haiti. Ottilie - la protagonista, che ha da poco passato i venti anni - si interroga su: “Come ci si sente quando si è innamorati?”

Non riuscendo a trovare risposta nelle sue compagne, va dallo stregone, dallo houngan. Questi le indica un metodo che la porterà ad una risposta certa: “Tu devi catturare un’ape selvatica e tenerla chiusa nella mano .... se l’ape non ti punge, allora saprai di avere trovato l’amore.”

Ottilie fantastica: “Forse, potrei essere innamorata di Mr. Jamison?” Mr. Jamison è un americano gentile ed affettuoso che le ha regalato un braccialetto d’oro. «Passando lungo una siepe di caprifoglio innevata di fiori, con un gesto deciso e coraggioso, Ottilie cattura una ronzante ape nera, tra le molte che adornano come un festone la siepe. La pugnalata dell’ape fu un colpo che la buttò giù sulle ginocchia.»

Ottilie incontra un giovane uomo. «I suoi piedi dorati erano snelli ed aerei. Le tracce che lasciava erano quelle di un animale delicato.» Ottilie fa l’amore con lui; e mentre è ancora distesa sul prato, vede la sua vecchia nemica: l’ape. «La sua mano era tremante quando la mise sul percorso dell’ape, ma l’ape cadde da sola nella mano; e quando Ottilie fece il movimento di chiudere le dita, l’ape non provò in nessun modo a farle male. Contò sino a dieci - tanto per essere sicura - poi aprì la mano e l’ape volò via in archi a spirale, con un canto gioioso» (Capote 1958, p. 118 e pp. 122-23). [i]

3.                  Proverò a tradurre il consiglio dello houngan in un linguaggio per noi più familiare, senza tradirne il senso profondo. Lo esprimerò con queste parole: “Se hai sfuggito l’amore per tanto tempo ed addirittura hai pensato di non sapere che cosa si prova quando si è innamorati, vi è certamente una ragione. Il fatto che tu adesso lo cerchi di nuovo, significa che ne senti la mancanza e ne hai un assoluto bisogno per andare avanti nella vita. Sei venuta da me, perché hai timore che incontrandolo, potresti rientrare in contatto con un antico trauma e provare di nuovo un dolore che ti era sembrato intollerabile.

L’amore è un sentimento costruttivo ma è anche violento, come un’ape selvatica. Ti darò un’indicazione. Se fai soltanto finta di essere innamorata e non lo sei veramente, potrai suscitare molto risentimento e rancore nell’altro e in te stessa. Le ferite, che inevitabilmente si subiscono quando si è innamorati, saranno più dolorose e violente perché saranno accompagnate dal rancore e dalla rabbia che proverà l’uomo che avrai ingannato e che proverai tu stessa per esserti ingannata da sola. Se al contrario sarai veramente innamorata, le ferite ti sembreranno più lievi e quasi non le avvertirai, perché si sarà stabilita una reciprocità tra te ed il tuo innamorato, e perché queste ferite saranno una minima parte rispetto a tutto quello che si sarà messo in movimento.”

4.                  La novella di Truman Capote ha evocato il trauma ed i suoi possibili effetti. Voglio adesso dire qualcosa a proposito del secondo termine che compare nel titolo: la Funzione narrativa in psicoanalisi”.

Io credo che sia utile distinguere due aspetti della Funzione narrativa. Il primo corrisponde ad un continuo lavoro di elaborazione e rielaborazione autobiografica. Su questo aspetto hanno portato l’attenzione soprattutto psicoanalisti, che hanno lavorato e lavorano negli Stati Uniti. Mi riferisco in particolare a Roy Shafer (1983, 1992) ed a Joseph Lichtenberg.

Lichtenberg - in un suo libro recente (2005, p. 69-70) - scrive: «[…] I pazienti raccontano la propria storia nel modo che vogliono o possono, ed è compito dei terapeuti elaborare la narrazione a un livello che sia coerente [tanto per il paziente, quanto per il terapeuta]. I terapeuti hanno bisogno di chiedere [e di chiedersi] chi sia quella persona, che cosa stesse accadendo [quando stava succedendo quel] certo evento sorprendente, come si sentisse il paziente rispetto alla scelta che aveva fatto, quanti anni avesse a quel tempo, chi altro fosse coinvolto, e tutte le circostanze che avevano portato all’evento. […]»

Lichtenberg collega inoltre il racconto di storie in analisi con la costruzione del senso di Sé. «La ricchezza della narrazione durante la terapia trascende il puro e semplice raccontare storie. Per dare nuova forma ai problemi che il paziente ha con la propria identità, il terapeuta e il paziente devono essere in contatto con il Sé biografico del paziente. Il mondo simbolico che il bambino si forma ed [il mondo simbolico in cui vive sono mondi di storie]. Creiamo storie sull’andare allo zoo, sullo stare a casa della nonna, su come il padre tratta la madre e sull’amore e le falsità di nostra sorella. La nostra mente è piena di storie, e soprattutto di storie su chi siamo, chi siamo stati e chi saremo. Tutte le nostre storie e le nostre scene, il teatro della nostra mente con tutte le sue finzioni e messe in scena si combinano per diventare la nostra autobiografia, e la nostra autobiografia coincide [in larga misura] con il nostro senso del Sé. L’attenzione del terapeuta alla narrazione del paziente è quindi un mezzo fondamentale per avere accesso al luogo interiore più privato del paziente: le sue collezioni private di esperienze personali, ricordate e co-costruite con il terapeuta.»

5.                  Gli psicoanalisti italiani – avendo come un punto di partenza nei concetti di Funzione alfa e di Rêverie proposti da Bion - hanno messo in evidenza un diverso aspetto della Funzione narrativa.

Nino Ferro (1996), Dina Vallino (1998) e numerosi altri colleghi hanno mostrato come in psicoanalisi la Funzione narrativa corrisponde non soltanto all’attività di raccontare (da parte del paziente) ed a quella di ascoltare empaticamente e co-costruire (da parte dell’analista), ma anche al conversare che avviene in seduta. Essi hanno segnalato, inoltre, come questa attività (ascoltare empaticamente e conversare) corrisponda ad un “accompagnare” il paziente, quando descrive/attualizza situazioni difficili in cui si è trovato a vivere nell’infanzia ed in cui si trova tuttora a vivere.

Gli psicoanalisti italiani, infine, hanno segnalato che l’esercizio della Funzione narrativa porta alla creazione in seduta di un “campo” lieve e fluido (fictional e flou) nel quale i vissuti, le sensazioni ed i sentimenti vengono progressivamente legati a parole, a scene, ad una voce narrante (Neri 2011).

6.                  Che cosa emerge dalla novella di Truman Capote rispetto al trauma?

La novella - prima di tutto - segnala che la prova dell’innamoramento (e della riattivazione del trauma) può essere accompagnata da un senso di intrappolamento, simile a quello che sperimenta un’ape chiusa nella mano.

Il comparire della claustrofobia può essere il segno del riemergere di un antico vissuto depressivo. Però, può anche indicare che si è arrivati ad un punto della vita, nel quale vi è la necessità di trovare un nuovo ed inedito modo di sentire e pensare. Vi è la necessità di scoprire un modo di guardare a se stessi ed al rapporto con gli altri, che non è mai stato usato prima. Questo inedito modo di sentire e pensare deve sostituire la concezione passata, che ha portato ripetutamente alla fuga, alla reazione violenta, al lasciarsi schiacciare ed inebetire.

7.                  Alessandra Ginzburg (2011, p. 59) (forse) parla di questo salto necessario, quando mette in rapporto il cessare delle angosce di morte di Proust con la sua scoperta di un tempo fuori del tempo, un tempo più vasto del presente.

Proust ha potuto fare la scoperta del “tempo extra-temporale” (e dunque anche di una dimensione extra-temporale del suo essere) grazie al miracolo di un’analogia. Grazie alla possibilità che un odore, un sapore, un’immagine riportino in vita non semplicemente un ricordo, ma un intero mondo di affetti, che si credeva passato e perduto. Un mondo che invece esiste non lontano; anzi che è a portata di mano, nel tempo fuori del tempo.

8.                  Alessandra Ginzburg (2011, p. 62) predilige la categoria del tempo: i ricordi, il succedersi delle generazioni. Nel Tempo, gli uomini «[…] toccano simultaneamente, come giganti immersi negli anni, periodi vissuti da loro a tanta distanza e tra cui tanti giorni si sono depositati […] (Proust 1927, p. 757). »

Per alcuni, invece, la categoria del tempo continua a rimanere ostica, anche quando sono avanti negli anni (Gaddini 1978).

Alex - un mio paziente francese - era sospettoso di tutto quanto fosse relativo al ricordare. Una volta glielo feci notare. Egli mi rispose scherzosamente: “Le temps passe je demeure.” Questa espressione può essere intesa in due modi: “Il tempo passa; io resto, mi attardo” oppure “Il tempo passa; io abito, risiedo.”

Mi chiesi: “Alex aveva voluto dirmi che sapeva di stare divenendo anziano, ma che era tuttora incapace di entrare in questo periodo della sua vita?”, “Una visione più ampia e dinamica del tempo, potrebbe aiutarlo e dargli conforto?”

Oppure, le parole di Alex avevano un significato completamente diverso. Il paziente mi stava dicendo che: “Desiderava continuare ad abitare in analisi, perché questo gli consentiva di nutrire ancora la creatività e la gioia di vivere, che non erano state alimentate a sufficienza quando era bambino?”

9.                  Non sono riuscito a capire quale potesse essere la lettura più corretta della frase del mio paziente. Forse ambedue coglievano qualcosa di vero. Ho capito però qualcosa d’altro, che riguardava l’avversione e l’impossibilità di Alex ad abbandonarsi ai ricordi.

Per il mio paziente, ricordare non corrispondeva al ritrovare un mondo familiare e confortante. Al contrario, lasciarsi andare ai ricordi comportava per lui il rischio di vivere nuovamente ciò che aveva sperimentato nel corso della sua infanzia pluri-traumatizzata: una infanzia nella quale la coppia dei suoi genitori, presi in un gioco di rispecchiamento e di reciproca idealizzazione, lo aveva tenuto quasi costantemente in una condizione di dura ed umiliante esclusione.

Era stata un periodo, nel quale i pensieri, le immagini ipnagogiche, i sogni frequentemente si confondevano con presenze turbinose ed inquietanti. Specialmente durante le ore insonni della notte, inoltre, i suoi pensieri e fantasie si disponevano secondo le simmetrie di un labirinto, l’immobilità di una fotografia, la serialità di un catalogo.

10.              Concludendo dirò qualcosa sui limiti della Funzione narrativa rispetto alla elaborazione del trauma.

La Funzione narrativa permette il dispiegarsi di un campo nel quale gli elementi troppo addensati - esito della combinazione del trauma e delle difese - possono essere accolti e poi dipanarsi.

Incominciano a distinguersi sentimenti contradditori: bisogno di essere amati senza limite e senso di claustrofobia, fantasie di punizione e aspirazione ad una idilliaca libertà, onniscienza ed incapacità ad apprendere dall’esperienza, rancore e dipendenza.

Questi sentimenti e fantasie divengno oggetto di numerose narrazioni condivise con l’analista. A poco a poco, la loro violenza si attenua. Viene conquistato un certo spazio per il riconoscimento dell’autonoma esistenza degli altri.

Spesso però permane un senso di infelicità e un vissuto di persecuzione che a tratti emergono con maggiore intensità. Si tratta probabilmente dell’entrare in azione di un “residuo” che non è stato possibile modificare. Truman Capote (1958, p. 129) ce ne offre un’immagine efficace: «Una notte quando [Ottilie e il suo innamorato Royal] erano distesi sul letto a metà addormentati, lei avvertì improvvisamente nella stanza un’altra presenza. Poi vide, come aveva già visto altre volte, una luminescenza, lì ai piedi del letto, un occhio che li guardava […].»

La “luminescenza”, lo “occhio ” - come il residuo dissociato - vivono in un’area crepuscolare tra sonno e veglia, tra allucinazione e fantasia. La Funzione narrativa non è stata in grado di trasformarli.

Per andare oltre, è necessario mettere in essere una discontinuità, operare un salto rispetto alla scenario attuale. Nello scenario attuale “il residuo” dissociato è comunque presente ed incombe sull’intera vita della persona.

Interrogandomi sul mio paziente Alex ho parlato della discontinuità come acquisizione di una diversa concezione del mondo in cui Alex si collocava: “Una visione più ampia e dinamica del tempo, potrebbe aiutare Alex ad accettare la sua età ed il passaggio del tempo?”

È precisamente di questo salto che la Funzione narrativa non mi sembra capace. La Funzione narrativa opera piuttosto nella continuità e per la continuità in lenta evoluzione.

È utile - a mio avviso – che l’analista metta in campo una sua diversa capacità. Mi riferisco alla capacità di affrontare e tollerare momenti di intenso e talora drammatico confronto con il paziente. L’aumento della temperatura e del coinvolgimento affettivo che ne conseguono hanno spesso l’effetto di mettere in moto, nel tempo, una catena di radicali e positivi cambiamenti.


Bibliografia

Capote T. (1958). Breakfast at Tyffany’s and Three Stories.New York : Random House.

Ferro A (1996) Nella stanza d’analisi - Emozioni - racconti – trasformazioni. Milano : Cortina Editore.

Gaddini E. (1978) L’invenzione dello spazio in psicoanalisi. In: Scritti 1953-1985 Milano: Cortina Editore, 1989.

Ginzburg A.(2011). Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi. Ospedaletto-Pisa : Pacini editore.

Lichtenberg, J.  (2005). Craft and Spirit. A Guide to the Exploratory Psychotherapies. Hillsdale, NJ: The Analytic Press. [Traduzione italiana: Mestiere e ispirazione. Guida alle psicoterapie esplorative. Milano, Cortina editore, 2008].

Neri C. (2011). Isabel: Social field, psychological field and narrative field. Psychoanalytic Inquiry (in corso di stampa).

Proust M. (1927). Le Temps retrouvé. Paris : Gallimard. [tr. it. Il tempo ritrovato. In Alla ricerca del tempo perduto (Vol. 4). Milano : Rizzoli, 2005]. Citato secondo Ginzburg A.(2011). Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi. Ospedaletto-Pisa : Pacini editore.

Schafer R. (1983). The Analytic Attitude. New York: Basic Books [trad. it L’atteggiamento analitico. Milano, Feltrinelli, 1984.

Schafer R. (1992). Retelling a Life. New York, Basic Books. [trad. it.: Rinarrare una vita. Narrazione e dialogo in psicoanalisi. Roma: Fioriti, 1999].

Vallino D (1998) Raccontami una storia. Dalla consultazione all'analisi dei bambini. Roma : Borla.



* Letto al Centro di Psicoanalisi Romano (21 ottobre 2011), in occasione della presentazione del libro di Alessandra Ginzburg “Il miracolo dell’analogia. Saggi su letteratura e psicoanalisi.”



[i] La traduzione di tutti i passaggi di Truman Capote è mia. L’indicazione delle pagine si riferisce all’edizione inglese.

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