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Richard F. - L'adeguamento della clinica psicanalitica alle patologie in esteriorità nell'adolescenza (2011)

Il lavoro clinico con gli adolescenti:

le modificazioni della tecnica

SABATO 19 -  DOMENICA 20 NOVEMBRE 2011

François RICHARD

L’ADEGUAMENTO DELLA CLINICA PSICANALITICA
 ALLE PATOLOGIE IN ESTERIORITÀ NELL'ADOLESCENZA

È giunto il momento di riproblematizzare il concetto di casi limite. Per molto tempo è stato definito in questo modo, raffrontandolo alla nevrosi che rappresentava organizzazione psichica e capacità di simbolizzazione, uno stato caratterizzato al contrario da deficit in questi stessi ambiti – senza tuttavia che si trattasse di psicosi. Uno stato che nel mondo di oggi appare come il funzionamento adattivo prevalente, un modo di sopravvivere e vivere che fa ricorso a modalità di soggettivazione svariate e complesse. La nevrosi non è scomparsa, ma vediamo ormai come essa sia, in gran parte, costituita da quel panico libidico contenuto che lo stato limite rivela e addirittura esibisce. I casi limite costituiscono quindi ancora dei “casi”, una struttura specifica? Non si dovrebbe piuttosto parlare di disturbi in cui si mescolano conflitto pulsionale intrapsichico edipico e funzionamenti borderline manifesti, in cui l’interiorità psichica è disconosciuta in quanto espulsa nella realtà del fuori – disturbi che potremmo chiamare patologie in esteriorità?

Tali sistemi misti, inizialmente specifici delle patologie dell'adolescenza, finiscono per essere presenti in tutti nella società contemporanea, caratterizzata dall'“attuale disagio della civiltà”[1]. La negatività invade ogni cosa, il principio individualista di espressione immediata delle pulsioni e di realizzazione del sé è attaccato da un lato dallo slegamento pulsionale e dall'altro da un rinnovato puritanesimo. Nemmeno i “veri” casi limite, con la loro grande fragilità narcisistica, la loro depressività cronica e l'evidente disfunzionamento dei loro investimenti oggettuali in scacco permanente – quali intesi da Kernberg e Bergeret – sono scomparsi. Tra la nevrosi immaginativa ben strutturata e i casi limite incontestabili (esistono), le patologie in esteriorità – che sono patologie dell’interiorità – sono state trattate in un primo tempo da Winnicott in termini di vero e falso self, poi da Cahn in termini di disturbi della soggettivazione specifici dell’adolescenza. Freud aveva indicato la via con la sua concezione della nevrosi attuale come forma non simbolizzata del conflitto nevrotico, poi della melancolia come nevrosi “narcisistica” e infine della psicosi come disfatta dell'Io.

Il successo stesso della teoria dei casi limite ha impedito di rendersi conto che, la maggior delle volte, ciò che si credeva in tal modo di comprendere rientrava in sistemi misti conflitto intrapsichico/sintomatologie in esteriorità. Questo grossolano errore manca il suo bersaglio nel momento in cui l'attuale disagio della civiltà compromette definitivamente un ordine già indebolito da tempo – di cui proprio i “casi limite” adulti e le difficoltà identitario-narcisistiche di molti adolescenti erano un sintomo.

Adolescenza e stati limite

Il mélange tra organizzazione nevrotica e funzionamenti limite non è una novità. Nel 1929, in Il disagio della civiltà, Freud distingue l’adolescente inibito, che non osa attaccare i genitori, dal ragazzo abbandonato, diventato un delinquente, poi identifica nella mancanza dell'autorità paterna l'elemento comune alle due situazioni; le rimozioni, nell'uno come nell'altro, sono molto pesanti o insufficienti. Il disturbo dei limiti nei giovani delinquenti, di cui parla Aichhorn, permette a Freud di identificare un disturbo simile all'opera nell’adolescente nevrotico.

Ogni adolescente si trova ad affrontare un'angoscia pulsionale derivante dalla riattualizzazione pubertaria del complesso edipico infantile e, al tempo stesso, è in preda a una certa cupezza, talvolta a un vero e proprio sconforto: una regredienza agli effetti arcaici preedipici accompagna paradossalmente il movimento edipico progrediente. In questa angoscia al tempo stesso genitale pulsionale e narcisistica abbandonica possiamo individuare l'esordio degli stati limite dell’adulto. Le patologie tipiche dell’adolescenza mirano ad aggirare l’elaborazione psichica richiesta (breakdown secondo E. e M. Laufer, follia pubertaria secondo Gutton, patologie dell'agire e della dipendenza secondo Jeammet, disturbi della soggettivazione secondo Cahn). Lo stato limite nell'adulto deriverebbe da un'incompiutezza del processo adolescenziale di simbolizzazione, di appropriazione soggettiva e di superamento di una mescolanza complessa del livello arcaico e di quello edipico. Come afferma E. Kestemberg, la tensione tra sentimento d’identità soggettiva e identificazioni secondarie può talvolta mettere in discussione le fondamenta dell'identificazione primaria con i due genitori edipici, se quest'ultima si è mal costituita nell’infanzia. Il processo di soggettivazione è quindi sospeso in uno stato limite che si colloca tra pericolo di franco scompenso psicotico e processo adolescenziale riuscito. L'alternanza tra momenti di eccitazione e momenti depressivi si risolve nella maggior parte dei casi con una fuga in avanti verso gli agiti, le condotte a rischio, i disturbi del comportamento alimentare, le dipendenze o un adattamento superficiale alla realtà. La forza pulsionale rischia di restare disconosciuta e inoccupata, mentre la problematica dell'individuazione, della separazione e del legame è in primo piano. Si osserva una dissociazione tra il conflitto strutturale e la fenomenologia dei sintomi, che può spingersi fino a un vero e proprio “disimpegno soggettuale” (Green). Tuttavia, nella maggior parte dei casi una combinazione di eccitazione e frustrazione rende ancora possibile introiettare la forza pulsionale pubertaria. A questo proposito una certa depressività sarebbe utile in quando compone conflitto pulsionale e relazione melancoliforme d’amore con i primi oggetti infantili perduti. Se il lutto di questi oggetti non avviene l'adolescente cade nella depressione franca, a meno che egli non si situi nell'investimento di una mancanza eccitante (l’abbandono è in tal caso concepito come una situazione in cui si è stati sedotti, eccitati e poi lasciati alla frustrazione). Tale stato limite del sessuale può cronicizzarsi in stato limite dell’adulto, nel quale si percepisce meno la dimensione sessuale e più l’incapacità di essere in relazione con l’interiorità psichica.

Evoluzione delle patologie, evoluzione della tecnica

Poiché con l’adolescente il transfert si manifesta come relazione, occorre interpretarlo; il conflitto nevrotico si unisce a sintomi non nevrotici , il lavoro analitico diventa difficile, occorre cercare di calmare e inquadrare senza rinunciare a interpretare, parlando di un luogo che non sarà percepito dal nostro interlocutore come quello del suo oggetto pulsionale di transfert. L’inflazione di tecniche e ricette per i casi ai limiti dell’analizzabile, da un lato, e la riduzione di ciò che sarebbe propriamente analitico alla finezza dell’ascolto e di interventi rari, brevi e condensati, dall'altro, possono allontanare dal metodo di base. L'incontro con l’adolescente insegna allo psicanalista che può manipolare il suo metodo ma facendo molta attenzione alle variazioni attuali dell'economia psichica e libidica del paziente, nella sua realtà esterna relazionale, familiare e sociale. È nostra responsabilità anche avere scambi con i genitori dell'adolescente  e altri soggetti (psicologo, psichiatra, ecc.).

È qui che si corre il rischio di confondere i vari tipi di intervento, e che il lavoro analitico può degenerare in sostegno psicoterapico e il dialogo analitico in banale scambio comune. Il metodo freudiano prevede il coinvolgimento soggettivo dello psicanalista in un incontro che non perde mai di vista l’asimmetria della comunicazione, ed è del resto questa asimmetria (uno parla e l'altro ascolta) che permette all’interpretazione di avere una funzione di riconoscimento di ciò che nel paziente non è mai stato correttamente apprezzato dai suoi primi altri, perché, dalla sua posizione di ascolto, egli rappresenta l’Altro primordiale, l’“oggetto parentale di transfert” (Gutton) e, più essenzialmente, “l’essere umano prossimo” di cui parla Freud. A partire da un'interlocuzione che si colloca a un livello cosciente, emergono elementi preconsci e lo psicanalista può allora avanzare interpretazioni più profonde.

L'incontro psicoanalitico con gli adolescenti di oggi ci apre la strada per la comprensione della complessità dei sistemi difensivi degli adulti contemporanei. Vi si riscontra la stessa prevalenza manifesta della scissione e della proiezione fobiche, ma vi si nota meglio che queste ultime sono al servizio della rimozione e del conflitto pulsionale, sottilmente disconosciuti e aggirati, in particolare mediante il ricorso a mimetismi pseudo-identificatori e a procedimenti di auto-eccitazione desessualizzanti  (dipendenze, espulsione dell’erotismo psichico in agiti sessuali disinvestiti). Occorre inoltre capire che le patologie del legame (tra insicurezza, bisogno di dipendenza e falsa autonomia narcisistica) non si sostituiscono al nucleo sessuale incestuoso edipico, ma ne rappresentano una forma regressiva e al tempo stesso una negazione. Come stupirsi della propensione per questo tipo di fissazione regressiva, dell’epidemia di dipendenze e di funzionamenti in processi primari incapaci di costituirsi per ritenzione in veri e propri desideri, se le si concepisce come passioni melancoliche attraverso le quali il soggetto che crede di mantenere vivi i suoi oggetti infantili, si scopre depresso, in preda a ciò che Freud supponeva essere una pura intossicazione da libido narcisistica senza perdita d'oggetto? Questo tipo di regressione può portare ad aggrapparsi a forme sempre più evanescenti, dal momento che l’eccitazione maniacale non riesce ad ingannare.

Queste patologie complesse dall’asse portante costituito da un disturbo narcisistico e identitario la cui economia libidica è gestita dalla logica di processi primari, nascondono un'angoscia di castrazione  diventata talmente forte da invadere l'intero Io: l’interpretazione può quindi accedervi difficilmente e il medico rischia di trascurarla, mentre invece dovrebbe più che mai tenerla presente e comprenderla.

Con gli adolescenti di oggi, cogliamo più direttamente la dimensione dell'Edipo distorto a rischio di scacco nascosta
dalla proiezione e dall’esternalizzazione, nonché la problematica dell'angoscia di separazione il cui contrario è il rifiuto della dipendenza. L'analisi si concentra su un’articolazione permanente di questi due livelli. Questo tipo di lavoro analitico si rivela possibile più spesso di quanto non si pensi, anche se, con adolescenti molto giovani o troppo attaccati ai loro sintomi, ci capita di limitarci a colloqui di sostegno.

Capiamo facilmente che in loro la pluralità dei sintomi esprime la labilità dell'economia libidica che le scissioni non riescono a canalizzare e arginare a sufficienza, per cui pensiamo che si tratti di un effetto del fallimento della rimozione, per quanto nella forma elementare della separazione tra la “corrente affettuosa” e la “corrente sensuale” di cui parla Freud nel terzo dei Tre saggi (dedicato alle “trasformazioni della pubertà”). Ci si può tuttavia stupire del mélange esplosivo di agiti pulsionali senza limiti (in questo senso, nemmeno trasgressivi) e sentimentalismo del tutto convenzionale che a priori si crederebbe riflettere una sfumatura d’inibizione di una repressione riuscita. È come se l’adolescente, questa figura dell’Io malmenato dal Super-io e sottomesso all’Es, avesse scambiato la nevrosi attuale e la nevrosi d’angoscia con la strana economia dei procedimenti auto-calmanti per saturazione d’eccitazione.

L’adolescente è cambiato? Siamo cambiati noi: facciamo riferimento meno sistematicamente al livello di organizzazione edipico per inquadrare e contenere i funzionamenti limite così comuni oggi, perché sappiamo che dobbiamo lasciarci permeare dal turbamento, dalla confusione dell’interlocutore, prima di poter trovare la giusta tonalità per intervenire – il che non deve portare a limitarsi a una psicologia del legame, riduttiva.

L'angoscia edipica è ancora lì, nascosta, mascherata, talvolta resa irriconoscibile, in figure inaspettate, deve essere compresa e interpretata, salvo abbandonare l’adolescente a conflitti intrapsichici che lo sopraffanno e lo superano, all’evidenza, quando è preda di processi primari intolleranti verso ogni tipo di ritenzione, ogni tipo di interiorità. Rinunciare a reperire i conflitti pulsionali e topici interni sarebbe un reato. Ciò che è cambiato è che l’“Edipo”, come si dice, non è più un valore gerarchicamente superiore, ma semplicemente un piano di un sistema auto-organizzativo complesso.

Siamo cambiati: utilizziamo meno la dialettica del narcisistico e dell’oggettuale, senza per questo disfarcene: i flussi molteplici e complessi, che animano e attraversano i soggetti contemporanei, intessono, in un equilibrio instabile e fragile, un movimento di disimpegno soggettuale e riprese di apertura oggettualizzante – è il ritmo stesso della pulsione, in cui ogni movimento contraddice o compensa l’altro. Sì, ma noi, noi ci situiamo sul polo oggettuale, lo favoriamo discretamente, ogni volta che decidiamo di interpretare – perché non farlo vorrebbe dire lasciar correre, rendendosi complici di una problematica incestuale o fusionale – ; ogni volta che “maneggiamo” il transfert per “tirare” la capacità relazionale del nostro interlocutore “verso l’alto” – il che pone il problema dei nostri valori impliciti. Il nostro compito è difficile, tra il rischio di non essere abbastanza psicoanalisti – il lasciar correre complice, piuttosto generalizzato, del nostro tempo – e quello di intervenire in modo troppo invadente e traumatico. Ciò che Ferenczi chiamava il “tatto”, il significato delle parole giuste, la sensibilità verso ciò che accade nell'incontro, la nostra capacità di trasportare noi stessi verso l'alterità del paziente, sempre molto più diverso da noi di quanto non possiamo immaginare, ma, al tempo stesso, sempre molto più ricettivo, e grato, rispetto alla nostra qualità di attenzione e di riconoscimento di ciò che egli è, quando siamo in grado di essere semplicemente presenti, realmente coinvolti, fattore che rimanda ancor di più alla tecnica di esplorazione del contro-transfert, la quale mantiene ancora una certa esteriorità rispetto all’incontro.

Con l’adolescente, occorre interpretare o favorire le “narrazioni”? Qual è il miglior trovato-creato? Interpretare il conflitto inconscio interno attuale vuol dire andare direttamente al cuore di una soggettivazione in sofferenza e del  dolore di esistere. Il faccia a faccia con l’adolescente non è anche un fianco a fianco fraterno, attraverso il quale lo tiriamo in avanti – topologia dello spazio clinico al servizio di una topica in via di costituzione?

Stile dialogico del colloquio, modello del gioco psicodrammatico coreografato, in cui si dà voce paterna, o materna, o in doppio, o mille altre ancora. Nell’adolescente la scissione non è ancora completamente bloccata da difese caratteriali e possiamo quindi correre il rischio di interpretare. Certo l'adolescente è alla ricerca di un irrigidimento difensivo, ma è piuttosto di nascondigli diversi che si avvale. Gli adolescenti soffrono di una grande dipendenza, per negare la quale fanno di tutto, dai due genitori edipici: è il ben noto scenario del collage narcisistico trasgressivo, che abolisce il divario intergenerazionale, nell’intesa madre-figlia o nella mancanza di rispetto nei confronti della funzione paterna – dove apparentemente non c'è più alcun desiderio edipico colpevole, ma, piuttosto, una patologia del legame. Dipendenza, collage narcisistico trasgressivo e aggressività irrispettosa: come non vedere in tutto ciò le forme, regredite in tutti i campi del polimorfismo sessuale perverso infantile – narcisistiche, pregenitali (orali e anali), omosessuali, esibizioniste, sadiche, masochiste – dell’eccitazione e dello spavento incestuoso sullo sfondo di un cedimento degli autoerotismi? La rapida deriva di tali forme regredite dell’“Edipo” verso agiti e dipendenze ne maschera ancor di più l'origine.

Dal punto di vista fenomenologico della sintomatologia l'adolescente è cambiato meno di quanto si pensi sia cambiato da un punto di vista strutturale.

Noi dobbiamo cambiare, ma spossessandoci della nostra teoria e della nostra tecnica. Dobbiamo lavorare la nostra epistemologia: l'atto analitico, che può includere l'interpretazione, ma anche qualcos’altro. Abbinata a delle costruzioni, l'interpretazione è, giustamente, considerata come paradigmatica della nostra pratica. Allo stesso tempo, ognuno sente di dover fare altro oltre che interpretare. In che modo questa scelta altra può collocarsi al centro del lavoro analitico, senza trasformarlo in non si sa quale desolante neopsicoterapia, caratterizzata da comportamentismo e sostegno alienanti?

La complessità delle patologie adolescenziali e dell’adulto contemporanee  

L'ipotesi che sostengo è quella di quadri clinici misti in cui si riscontrano contemporaneamente la rimozione e l’esteriorizzazione del conflitto intrapsichico, cioè un complesso intreccio di meccanismi di difesa accomunati dallo stesso negativismo[2]. Tale ipotesi è in linea con quanto proponevo nel 1998 in Disturbi psichici dell’adolescenza e nel 2001 in Il processo di soggettivazione in adolescenza riguardo alla dimensione borderline delle patologie adolescenziali contemporanee, ma ampliandolo in una prospettiva più globale. In effetti, molti adulti possono essere descritti come “adolescenti tardivi” e si tratta di qualcosa di più di una somiglianza in quanto la pregnanza dell’angoscia, la gravità della depressione, la prevalenza dell’agito, la frequenza dei tentativi di suicidio e delle condotte tossicomaniche sono attribuite a un disturbo comune che si colloca tra un processo adolescenziale riuscito e il fallimento di quello stesso processo, che introduce alla psicosi. Il quadro clinico è quindi il seguente:

·         una denuncia del fatto che la realtà è inadeguata ai desideri quando in effetti è il soggetto che si disimpegna;

·         una modalità relazionale al tempo stesso persecutiva ed eccitante in cui il soggetto tende a porsi come vittima nella dipendenza e nella passività;

·         impulsi diretti verso oggetti e situazioni non investite, in modo tale che si assiste a una dissociazione tra le rappresentazioni di oggetti e le rappresentazioni delle pulsioni, fattore che causa una crisi di senso, poiché quest’ultimo si crea proprio tra questi due tipi di rappresentazioni;

·         infine, una ferita narcisistica riattualizzata a proposito di tutto e di niente.

La patologia conclamata, ma anche la vita quotidiana, mostrano una banalizzazione dei comportamenti in processi primari, in molti adolescenti, ma anche in molti adulti (ciò che li accomuna è in tal caso un infantilismo che rifiuta la creatività dell’infantile). La nostra modernità, affetta da una catastrofe del sensibile, e che manca di un rapporto sufficientemente immediato con il mondo, dà l'impressione di essere in preda a una miseria simbolica. La libido, privata ​​di oggetti d’investimento valorizzabili, in un contesto caratterizzato dalla crisi della famiglia e dal crollo dei riferimenti identificatori genitoriali, s’inabissa in flussi in circuito corto incapaci di ritenzione che sfociano solo in scariche senza nessuna vera soddisfazione.

Non si sa se ​​si debba parlare di incontinenza o di emorragia in riferimento a questi comportamenti che, fingendo di discutere seriamente, ad esempio, di problemi d’amore con le amiche o le madri, spingono oggi molte adolescenti, ma anche giovani donne, a raccontare tutto troppo in fretta, in modo tale che l'interiorità non si costituisce; si crea un circolo vizioso in cui questa insufficiente chiusura dell’interiorità causa nuovi fallimenti negli incontri sentimentali, e un maggior bisogno orale regressivo di confidenze, non più nella speranza di trovare appagamento nell’amica o nella madre, ma continuando a sollecitare una risposta, una soddisfazione che le loro interlocutrici non possono fornire. Questo sversamento esternalizzante, con il pretesto di una comunicazione di aiuto (la più cosciente e più trasparente possibile) con gli altri, accondiscende alla logica di un godimento senza piacere, al bisogno imperioso di una sete che non può essere soddisfatta, in poche parole, a una dipendenza dalla parola, tanto più resistente all'analisi in quanto rischia di essere interpretata come tendenza omosessuale, mentre invece fa capo soprattutto a un bisogno di mancanza.

L’eccitazione come procedimento auto-calmante

In molti adolescenti si osserva oggi il ricorso a procedimenti di eccitazione paradossalmente desessualizzante – effetto indotto dalle dipendenze e dalle situazioni estreme, ma anche da intrighi sessuali in cui il soggetto non è veramente coinvolto. Il soggetto evita di doversi confrontare con il conflitto edipico, fuggendolo nella strana economia dei “procedimenti auto-calmanti” per saturazione dell’eccitazione di cui parla Claude Smadja[3].

È come se la grande quantità di libido che il soggetto deve impegnarsi a introiettare, sfuggisse in tutte le direzioni. Il ricorso a un’eccitazione deliberatamente ricercata può quindi rappresentare un controllo minimo, a costo dell’incapacità di trovare soddisfazione, dal momento che una sessualizzazione manifesta può nascondere una desessualizzazione. Questo tipo di funzionamento è riscontrabile anche nell’adulto affetto dalla sindrome dell’accelerazione della vita professionale, ma anche privata, che lo porta allo stress e alla saturazione psichica: un’ulteriore accelerazione può stranamente procurare sollievo, poiché l’esternalizzazione dell’agitazione interna (che rischiava di frammentare la vita psichica) si rivolge verso spazi specifici isolati e controllati (consumo di prodotti eccitanti, etc.).

La sintomatologia dell'agire e della scarica più rapida possibile, non è in questo caso il risultato di processi primari, rimasti in un loro funzionamento puerile, derivanti da una psicosi infantile o da una disarmonia d’evoluzione dell'infanzia, ma di un tentativo (fallito), nell'adolescenza, di sostenere l’aumento dell’eccitazione conseguente allo sforzo di “differimento della scarica” o di un suo trattenimento “divenuto necessario” (S. Freud, “Precisazioni su due principi dell'accadere psichico”, 1911), alla costituzione di un Io capace di conoscere e controllare i processi primari, dal momento che la ritenzione procura lo spazio psichico interno in cui un desiderio personale potrà essere sentito psichicamente e soggettivato.

L'impatto dell’attuale disagio della civiltà

Al centro del disagio della civiltà, troviamo, dice Freud, “la presenza ubiquitaria dell'impulso aggressivo e distruttivo non erotico”[4] e “il turbamento della convivenza prodotto dall'impulso umano all'aggressione e all'autoannientamento”. Come uscire dall'oscillazione tra la deflessione verso l'esterno della pulsione di morte, che conduce il legame sociale ai confini della barbarie, e la censura di questa aggressività, che genera la nevrosi e anche, in ultima analisi, una certa distruttività? La semplice idea di una repressione dei bisogni pulsionali, che porta alla ribellione contro le esigenze della cultura, si amplia improvvisamente in una visione più complicata: la censura non deve essere completamente rimossa se si vuole preservare la cultura. Risultato di un equilibrio impossibile: la barbarie pervade costantemente la civiltà dall'interno, e finisce col convivere cinicamente con una distruttività che non tenta nemmeno più di dissimularsi. Un paradosso che trova la sua chiave nella teoria della violenza mimetica:

“La severità originaria del Super-io non è – o è assai poco – quella sperimentata o attesa da parte di lui, e sta invece a rappresentare la propria aggressività contro di lui”.

Come uscire da questo confronto allo specchio, da una tale proiezione, immediata e massiccia, dal momento che si sta diffondendo nella sintomatologia della modernità, nei funzionamenti in processi primari senza limiti, nella fobia dell’interiorità psichica e nella fuga nell’agire e nell’esternalizzazione? Riprendiamo, riassumendola, la frase di Freud: la severità del Super-Io sta a rappresentare la propria aggressività contro di lui. Che fare quindi, di fronte ad una proiezione tanto immediata e massiccia? È la questione dei processi adolescenziali di soggettivazione dissociati tra censura e scomparsa di ogni limite.

L’autorità legittima non si applica più nello stesso modo a tutti: in alcuni casi è lassista e compiacente, in altri sadicamente o grottescamente repressiva. Si osserva quindi un meccanismo di spostamento verso tematiche che si ritenevano storicamente superate – le forme intolleranti del religioso, la deriva della paura collettiva in razzismo o xenofobia – o ancora trame antisociali che colpiscono per il carattere inaspettato dei loro protagonisti come nel recente caso di giovani ragazze adolescenti che ne hanno ferocemente torturata un’altra, senza poi nemmeno tentare di sminuire la gravità degli atti commessi  giustificandosi in qualche modo.

Non abbiamo quindi mai visto una tale tensione tra, da un lato, gli ideali del rispetto per gli altri e del controllo delle pulsioni, e dall'altro, l’apologia di una libertà individuale che si suppone capace di rappresentarsi, di sperimentare e di vivere pienamente i movimenti pulsionali più svariati – fattore questo che comporta una disorganizzazione della topica soggettiva Es/Io/Superio, cioè uno stato limite. Gli adolescenti vivono questa ingiunzione all’espressione pulsionale nell’eccitazione, ma anche nella paura.

Il sessuale come stato limite

Negli stati limite, i vissuti pulsionali sono tollerati meglio degli affetti. Si potrebbe quindi pensare che assistiamo alla sostituzione del paradigma della nevrosi con quello degli stati limite, con il loro seguito di aggiustamenti perversi contro-depressivi. La situazione sembra piuttosto essere la seguente: l'inibizione del desiderio “vero” – legato alla singola storia e agli oggetti interni inconsci edipici – ricorre ai complicati meccanismi dei funzionamenti limite, piuttosto che al più semplice meccanismo della rimozione. Si ha quindi a che fare con patologie miste nevrosi/funzionamento limite, in cui il conflitto pulsionale interno allo psichismo teorizzato dalla psicoanalisi, sempre centrale, si è al tempo stesso trasformato in qualcosa di diverso.

In uno degli scritti testamentari di Londra, poco prima della sua morte, Freud dà forma a qualcosa che forse è sempre esistito, ma che solo di recente ha trovato ampia espressione: piaceri vissuti nell'insoddisfazione, la solitudine, il non-incontro, la sensazione che l'altro non sia davvero lì, o la sensazione dolorosa di una genialità manifesta che non fa altro che nascondere due autoerotismi che si utilizzano a vicenda: “Un sentimento di colpa può scaturire anche dall'amore insoddisfatto. Come l’odio. In effetti da questo materiale, siamo stati costretti a ricavare ogni sorta di cose, come gli stati autarchici con i loro 'surrogati'”[5]. Rivediamo questo passaggio molto denso: l'insoddisfazione dell’amore, la colpa, poi le difese autarchiche – è forse una definizione più appropriata di “identitario-narcisistiche” o “casi limite” – che si spingono fino ai loro “surrogati”, cioè fino all’infinito delle costruzioni psichiche addittive, schizoidi e contraddittorie della personalità moderna. In una delle sue ultime annotazioni del 1938, Freud menziona la debolezza della sintesi da parte dell’Io, corollario di una conservazione del carattere dei processi primari, aggiungendo poi che la sessualità infantile ha qui ancora una volta fissato un prototipo. Credo che questa frase costituisca un invito a pensare i funzionamenti contemporanei in processi primari e gli stati psichici borderline da essi generati, a partire dal campo della teoria sessuale.

L'insoddisfazione sessuale è diffusa come prima, nonostante un più libero esercizio della sessualità. È come se oggi molti soggetti fossero vittime di una nuova nevrosi attuale, in preda a un’angoscia che sembra nascere da un'attività sessuale non perturbata (almeno in apparenza): perché la scarica della tensione pulsionale, senza ritenzione o interiorizzazione psichica del desiderio, non può essere davvero soddisfacente; perché l’insufficiente collegamento dei processi primari libera ciò che soggiace al principio di piacere, una ripetitività sempre più automatica del ritmo della pulsione e, come corollario, la sua regredienza verso un simulacro dell’istinto animale, ossia, in ultima analisi, verso una desessualizzazione della pulsione nel suo stesso esercizio. La “nevrosi attuale” di parlava Freud è caratterizzata da un’inibizione dell'esercizio della sessualità, la nevrosi attuale contemporanea, conseguenza dell’esteriorizzazione e del disconoscimento dei conflitti intrapsichici, sembra risentire di un eccesso di disinibizione: entrambe sono però accomunate dalla stessa mancanza di elaborazione psichica e dell’interiorità.

[1] Cf. F. Richard, L’actuel malaise dans la culture, Paris, Ed. de l’Olivier, 2011.

[2] Cf. F. Richard, La Rencontre psychanalytique, Paris, Dunod, 2011.

[3] Cl. Smadja, « À propos des procédés auto-calmants du moi », Revue Française de Psychosomatique, n°4, 1993.

[4] S. Freud (1929), Il disagio della civiltà, Opere, vol. 6, Bollati Boringhieri, 1989, pag. 606.

[5] S. Freud (1938), Risultati, idee, problemi, OSF, vol. 11, Boringhieri, 1989, pag. 566.


François RICHARD

Docente di psicopatologia all’Università Paris 7 Denis Diderot (Centro di studi in psicopatologia e psicoanalisi).

Psicanalista membro della Società Psicanalitica di Parigi.

BIBLIOGRAFIA

Cahn R., Adolescence et folie. Les déliaisons dangereuses, Paris, PUF, 1991.

Freud S. (1911), « Formulations sur les deux principes du cours des événements psychiques », in Résultats, idées, problèmes, I, Paris, PUF, 1966.

Freud S. (1929), Le malaise dans la culture, OCFP, XVIII, Paris, PUF, 1994.

Freud S. (1938), « Résultats, idées, problèmes », in Résultats, idées, problèmes, II, Paris, PUF, 1985.

Green A., Le Travail du négatif, Paris, Minuit, 1993.

Richard F., Les Troubles psychiques à l’adolescence, Paris, Dunod, coll. Topos, 1998.

Richard F., Le Processus de subjectivation à l’adolescence, Paris, Dunod, coll. Psychismes, 2001.

Richard F., La Rencontre psychanalytique, Paris, Dunod, coll. Psychismes, 2011.

Richard F., L’actuel malaise dans la culture, Paris, Ed. de l’Olivier, 2011.

Smadja C., « À propos des procédés auto-calmants du moi », Revue Française de Psychosomatique, n° 4, 1993.

Winnicott D.-W. (1960), « Distorsion du moi en fonction du vrai et du faux « self » », in Processus de maturation chez l’enfant, Paris, Payot, 1970.

Winnicott D.-W. (1963), « De la communication et de la non-communication suivi d’une étude de certains contraires », in Processus de maturation chez l’enfant. Développement affectif et environnement, Paris, Payot, 1970.


François RICHARD

L’ADAPTATION DE LA CLINIQUE PSYCHANALYTIQUE
 AUX PATHOLOGIES EN EXTÉRIORITÉ À L’ADOLESCENCE

Le temps est venu de reproblématiser la notion de cas-limites. On a longtemps appelé ainsi, en le comparant à la névrose qui représentait organisation psychique et capacité de symbolisation, un état présentant à l’inverse des déficits dans ces mêmes domaines – sans que l’on ait affaire pourtant à la psychose. Cet état apparaît dans le monde d’aujourd’hui comme le fonctionnement adaptatif prévalent, une façon de survivre et de vivre qui recourt à des modalités variées et complexes de subjectivation. La névrose n’a pas disparu, mais on voit désormais qu’elle est faite, pour une large part, de cette panique libidinale contenue que l’état limite révèle, et même exhibe. Dès lors, les cas-limites sont-ils encore des « cas », une structure spécifique ? Ne doit-on pas, plutôt, parler de troubles où se mêlent conflit pulsionnel intrapsychique œdipien et fonctionnements borderline manifestes, où l’intériorité psychique est méconnue parce qu’expulsée dans la réalité du dehors – ce que l’on peut nommer les pathologies en extériorité.

Ces systèmes mixtes, d’abord propres aux pathologies adolescentes, deviennent ceux de tout un chacun dans la société contemporaine avec son « actuel malaise dans la culture »[1]. La négativité envahit tout, le principe individualiste d’expression immédiate des pulsions et de réalisation de soi est attaqué d’un côté par la déliaison pulsionnelle et d’un autre côté par un renouveau du puritanisme. Les « vrais » cas-limites, avec leur fragilité narcissique majeure, leur dépressivité chronique et le dysfonctionnement évident de leurs investissements objectaux en échec permanent – tels que Kernberg et Bergeret les comprennent – n’ont pas, eux non plus, disparu. Entre la névrose imaginative bien structurée et les cas-limites indubitables (ça existe), les pathologies en extériorité – qui sont des pathologies de l’intériorité – ont été abordées dans un premier temps par Winnicott en termes de vrai et de faux self puis par Cahn en termes de troubles de la subjectivation spécifiques à l’adolescence. Freud avait indiqué la voie avec sa conception de la névrose actuelle comme forme non symbolisée du conflit névrotique, puis de la mélancolie comme névrose « narcissique » et enfin de la psychose comme défaite du moi.

Le succès même de la théorie des cas-limites a empêché de voir que la plupart du temps, ce qu’on croyait ainsi appréhender relevait de systèmes mixtes  conflit intrapsychique/symptomatologies en extériorité. Cette bévue fait long feu quand l’actuel malaise dans la civilisation met définitivement à mal un ordre fragilisé depuis longtemps – ce dont précisément les « cas-limites » adultes et les difficultés identitaires-narcissiques de nombreux adolescents étaient un symptôme.

Adolescence et états-limites

Le mélange d’une organisation névrotique avec des fonctionnements limites n’est pas une nouveauté. En 1929, dans Le Malaise dans la culture, Freud distingue l’adolescent inhibé, n’osant s’attaquer à ses parents, du jeune homme à l’abandon, devenu délinquant, puis il dégage dans le défaut d’autorité paternelle le trait commun qui relie les deux situations ; les refoulements, chez l’un comme chez l’autre, sont, soit très sévères, soit insuffisants. Le trouble des limites chez les jeunes délinquants, dont parle Aichhorn, permet à Freud de repérer un trouble similaire à l’œuvre chez l’adolescent névrosé.

Tout adolescent est confronté à une angoisse pulsionnelle résultant de la réactualisation pubertaire du complexe d’Œdipe infantile. Dans le même temps, il est la proie d’une morosité, parfois d’une vraie détresse : une régrédience aux affects archaïques pré-œdipiens accompagne paradoxalement le mouvement œdipien progrédient. On peut discerner l’amorce des états limites de l’adulte dans cette angoisse uniement génitale pulsionnelle et narcissique abandonnique. Les pathologies propres à l’adolescence visent à contourner l’élaboration psychique requise (breakdown selon E. et M. Laufer, folie pubertaire selon Gutton, pathologies de l’agir et de la dépendance selon Jeammet, troubles de la subjectivation selon Cahn). L’état limite chez l’adulte dériverait d’un inachèvement du processus adolescent de symbolisation, d’appropriation subjective et de surmontement d’un mélange complexe des niveaux archaïque et œdipien. Comme le dit E. Kestemberg, la tension entre sentiment d’identité subjective et identifications secondaires peut parfois remettre en cause le socle de l’identification primaire aux deux parents œdipiens, si celle-ci s’est mal constituée dans l’enfance. Le processus de subjectivation est alors suspendu en un état limite se situant entre danger de décompensation psychotique franche et processus d’adolescence réussi. Les alternances entre moments d’excitation et moments dépressifs se résolvent le plus souvent en une fuite en avant vers les passages à l’acte, les conduites à risques, les troubles des conduites alimentaires, les addictions ou une adaptation de surface à la réalité.  La force pulsionnelle risque de demeurer méconnue et de rester sans emploi, tandis que la problématique de l’individuation, de la séparation et du lien, est au premier plan. On observe une dissociation entre le conflit structurel et la phénoménologie des symptômes, pouvant aller jusqu’à un véritable « désengagement subjectal » (Green). La plupart du temps néanmoins une combinaison d’excitation et de frustration préserve la possibilité d’introjecter la force pulsionnelle pubertaire. Une certaine dépressivité serait à cet égard utile : elle compose conflit pulsionnel et relation mélancoliforme d’amour aux premiers objets infantiles perdus. Si le deuil de ces objets ne se fait pas, l’adolescent sombre dans la dépression franche, à moins qu’il ne s’installe dans l’investissement d’un manque excitant (l’abandon est alors conçu comme une situation où l’on a été séduit, excité puis livré à la frustration). Cet état limite du sexuel peut se chroniciser en état limite de l’adulte, où l’on perçoit moins la dimension sexuelle, et plus l’incapacité à être en relation avec l’intériorité psychique.

Évolution des pathologies, évolution de la technique

Avec l’adolescent, le transfert se manifestant comme relation, il faut donc l’interpréter, le conflit névrotique se mélange à des symptômes non névrotiques, le travail analytique devient difficile, il faut veiller à calmer et à cadrer sans renoncer à interpréter, en parlant d’un lieu qui ne sera pas perçu par notre interlocuteur comme celui de son objet pulsionnel de transfert. L’inflation des techniques et recettes avec les cas aux limites de l’analysable d’un côté, et la réduction de ce qui serait proprement analytique à la finesse de l’écoute et d’interventions rares, brèves et condensées, de l’autre, peuvent éloigner de la méthode de base. La rencontre avec l’adolescent apprend au psychanalyste qu’il peut manier sa méthode mais en étant extrêmement attentif aux variations actuelles de l’économie psychique et libidinale de son patient, dans sa réalité externe relationnelle, familiale et sociale. Notre responsabilité inclut des échanges avec les parents de l’adolescent et avec d’autres intervenants (psychologue, psychiatre, etc.).

C’est ici qu’il y a risque de mélange des genres, le travail analytique pouvant dégénérer en soutien psychothérapique et le dialogue analytique en banal échange commun. La méthode freudienne inclut l’implication subjective du psychanalyste dans une rencontre qui ne perd jamais de vue l’asymétrie de la communication, c’est d’ailleurs cette asymétrie (l’un parle et l’autre écoute) qui permet à l’interprétation d’avoir fonction de reconnaissance de ce qui chez le patient n’a jamais été correctement apprécié par ses premiers autres, parce que décalé par sa position d’écoute il incarne l’Autre primordial, l’« objet parental de transfert » (Gutton) et, plus essentiellement, « l’être-humain-proche » dont parle Freud. À partir d’une interlocution se situant à un niveau conscient, surgissent des éléments préconscients et le psychanalyste peut alors avancer des interprétations plus profondes.

La rencontre psychanalytique avec les adolescents d’aujourd’hui nous ouvre à l’entendement de la complexité des systèmes défensifs des adultes contemporains. On y trouve la même prévalence manifeste du clivage et de la projection phobiques, mais en voyant mieux que ceux-ci sont au service du refoulement et du conflit pulsionnel, subtilement méconnus et contournés, en particulier par le recours à des mimétismes pseudo-identificatoires ainsi qu’à des procédés d’auto-excitation désexualisants (addictions, expulsion de l’érotisme psychique dans des agirs sexuels désinvestis). Encore faut-il bien comprendre que les pathologies du lien (entre insécurité, besoin de dépendance et fausse autonomie narcissique) ne se substituent pas au noyau sexuel incestueux œdipien, mais en représentent une forme régressive en même temps qu’une négation. Comment s’étonner de la propension à ce type de fixation régressive, de l’épidémie des addictions et des fonctionnements en processus primaires incapables de se constituer par rétention en désirs véritables, si on les envisage comme des passions mélancoliques au travers desquelles le sujet croyant maintenir vivant ses objets infantiles, se découvre déprimé, en proie à ce que Freud supposait être une pure intoxication en libido narcissique sans perte d’objet ? Ce type de régression peut mener à un cramponnement à des formes de plus en plus évanescentes, l’excitation maniaque échouant à donner le change.

Ces pathologies complexes dont l’axe central est un trouble narcissique et identitaire dont l’économie libidinale est régie par la logique de processus primaires, recouvre une angoisse de castration devenue si grande qu’elle envahit le moi tout entier : celle-ci est alors difficilement accessible à l’interprétation, et le clinicien risque de la négliger, alors qu’il devrait au contraire en avoir plus que jamais l’entendement à l’esprit.

Avec les adolescents d’aujourd’hui, nous appréhendons plus directement la dimension d’Œdipe distordu en risque de ratage recouverte par la projection et l’externalisation, ainsi que la problématique de l’angoisse de séparation dont l’envers est le refus de la dépendance. L’analyse se focalise sur une articulation permanente de ces deux niveaux. Ce type de travail analytique s’avère plus souvent possible qu’on ne le pense même s’il nous arrive, avec des adolescents très jeunes ou trop adhésifs à leurs symptômes, d’en rester à des entretiens de soutien.

Nous saisissons aisément que chez eux la pluralité symptomatique exprime une labilité de l’économie libidinale que les clivages ne parvenant pas à canaliser et à limiter suffisamment, de sorte que nous concevons qu’il s’agit là d’un effet de l’échec du refoulement, ne serait-ce que sous la forme élémentaire de la séparation entre le « courant tendre » et le « courant sensuel » dont parle Freud dans le troisième (consacré aux « transformations de la puberté ») des Trois essais. Mais on peut être surpris du mélange détonnant d’agirs pulsionnels sans limites (à cet égard pas même transgressifs) avec un sentimentalisme tout à fait classique que l’on penserait a priori refléter la nuance d’inhibition d’un refoulement réussi. Tout se passe comme si l’adolescent, cette figure du moi malmené par le surmoi et soumis au ça, avait troqué la névrose actuelle et la psychonévrose d’angoisse contre l’économie étrange des procédés auto-calmants par saturation d’excitation.

L’adolescent a-t-il changé ? Nous avons changé : nous nous référons moins systématiquement au niveau d’organisation œdipien pour cadrer et contenir les fonctionnements limites si fréquents aujourd’hui, parce que nous savons qu’il nous faut nous laisser imprégner par le trouble, la confusion de l’interlocuteur, avant de pouvoir trouver l’accordage adéquat pour intervenir – ce qui ne doit pas mener à se cantonner à une psychologie du lien, réductrice.

L’angoisse œdipienne est toujours là, recouverte, masquée, parfois rendue méconnaissable, en des figures inattendues, elle doit être entendue et interprétée, sauf à abandonner l’adolescent à des conflits intrapsychiques qui le débordent et le dépassent, à l’évidence, lorsqu’il est la proie de processus primaires intolérants à toute rétention, à toute intériorité. Renoncer à repérer les conflits pulsionnels et topiques internes serait criminel. Ce qui a changé, c’est que « l’Œdipe » comme on dit, n’est plus une valeur hiérarchiquement supérieure, mais un simple étage dans un système auto-organisationnel complexe.

Nous avons changé : nous utilisons moins la dialectique du narcissique et de l’objectal, sans la mettre pour autant au rebut : les flux multiples et complexes, qui animent et traversent les sujets contemporains, entrelacent, en un équilibre instable et fragile, un mouvement de désengagement subjectal et des reprises d’ouverture objectalisante – c’est le rythme même de la pulsion, chaque direction contredisant ou tempérant l’autre. Oui, mais nous, nous campons sur le pôle objectal, nous le favorisons discrètement, chaque fois que nous décidons d’interpréter – parce que ne pas le faire serait un laisser-faire, complice d’une problématique incestuelle ou fusionnelle ; chaque fois que nous « manions » le transfert pour « tirer » la capacité relationnelle de notre partenaire « vers le haut » –, ce qui pose la question de nos valeurs implicites. Notre tâche est difficile, entre le risque de n’être pas assez psychanalyste – le laisser-faire complice, assez généralisé, de l’époque –, et celui d’intervenir de façon trop effractive et traumatique. Ce que Ferenczi appelait le « tact », le sens des mots justes, la sensibilité à ce qui est en train de se passer dans la rencontre, notre capacité à nous déporter vers l’altérité du patient, toujours beaucoup plus différent de nous que nous pouvons l’imaginer, mais, en même temps, toujours beaucoup plus réceptif, avec gratitude, à notre qualité d’attention et de reconnaissance de ce qu’il est, lorsque nous sommes capables d’être tout simplement présents, authentiquement impliqués, ce qui renvoie à davantage qu’à la technique d’exploration du contre-transfert, laquelle maintient encore une extériorité par rapport à la rencontre.

Avec l’adolescent, faut-il interpréter, ou favoriser les « mises en récit » ? Quel est le meilleur trouvé-créé ? Interpréter le conflit interne inconscient actuel, c’est aller directement au plus vif d’une subjectivation en souffrance et d’une douleur d’exister. Le face à face avec l’adolescent n’est-il pas aussi un côte à côte fraternel, par lequel nous le tirons en avant – topologie  de l’espace clinique au service d’une topique en constitution ?

Style dialogique de l’entretien, modèle du jeu psychodramatique chorégraphié, où l’on donne « de » la voix paternelle, maternelle, en double, mille autres. Chez l’adolescent le clivage n’est pas encore complètement verrouillé par des défenses caractérielles, on peut donc avec lui prendre le risque d’interpréter. Certes, l’adolescent est à la recherche de durcissements défensifs, mais c’est plutôt des planques diverses qu’il s’aménage. Les adolescents souffrent d’une grande dépendance, qu’ils font tout pour nier, envers leurs deux parents œdipiens : c’est le tableau bien connu du collage narcissique transgressif, qui abolit l’écart intergénérationnel, dans le copinage mère-fille, ou dans l’irrespect de la fonction paternelle – où  il n’y a apparemment plus de désir œdipien coupable mais, à la place, une pathologie du lien. La dépendance, le collage et l’agressivité irrespectueuse : comment ne pas voir là les formes, régressées à tous les champs du polymorphisme sexuel pervers infantile – narcissiques, prégénitales (orales et anales), homosexuelles, exhibitionnistes, sadiques, masochistes –, de l’excitation et de l’effroi incestueux, sur fond de défaillance des autoérotismes ? La dérive rapide de ces formes régressées de « l’Œdipe » vers des passages à l’acte et des addictions en masque davantage encore l’origine.

L’adolescent a changé du point de vue phénoménologique de la symptomatologie, moins qu’on ne le croit d’un point de vue structurel.

Nous devons changer, mais non nous dessaisir  de notre théorie et de notre technique. Nous devons travailler notre épistémologie : l’acte analytique, susceptible d’inclure l’interprétation mais aussi autre chose qu’elle. Couplée à des constructions, l’interprétation est, à juste titre, considérée comme paradigmatique de notre pratique. En même temps, chacun sent qu’il est amené à faire autre chose qu’interpréter. En quoi ce choix autre peut-il se situer au cœur du travail analytique, sans le transformer en on ne sait quelle néopsychothérapie, affligeante de comportementalisme et de soutien aliénants ?

La complexité des pathologies adolescentes et adultes contemporaines

Je soutiens l’hypothèse de tableaux cliniques mixtes où l’on trouve à la fois le refoulement et l’extériorisation du conflit intrapsychique, autrement dit une grande complexité de mécanismes défensifs enchevêtrés ayant en commun un même négativisme[2]. Ceci prolonge ce que je proposais en 1998 dans Les Troubles psychiques à l’adolescence et en 2001 dans Le Processus de subjectivation à l’adolescence concernant la dimension cas-limite des pathologies adolescentes contemporaines, mais en l’élargissant en une vue plus globale. En effet, de nombreux adultes peuvent être décrits comme des « adolescents attardés », il s’agit plus que d’une ressemblance dès lors que la prégnance de l’angoisse, l’importance de la dépression, la prévalence du passage à l’acte, la fréquence des tentatives de suicide et des conduites toxicomaniaques sont imputées à un trouble commun situé entre processus d’adolescence réussi et l’échec de ce même processus, lequel introduit à la psychose. Le tableau clinique est alors le suivant :

·       une dénonciation de ce que la réalité est inadéquate aux désirs alors qu’en fait c’est le sujet qui se désengage ;

·       un mode relationnel tout à la fois persécutif et excitant où le sujet tend à se situer en victime dans la dépendance et la passivité ;

·       des impulsions dirigées vers des objets et des situations peu investies, de sorte qu’on assiste à une dissociation entre les représentations d’objets et les représentations des pulsions, ce qui entraîne une crise du sens puisque celui-ci se tisse précisément entre ces deux types de représentations ;

·       enfin, une blessure narcissique réactualisée à propos de tout et de rien.

La pathologie déclarée, mais aussi la vie quotidienne, donnent à observer une banalisation des comportements en processus primaires, chez de nombreux adolescents mais aussi chez de nombreux adultes (ce qu’ils ont alors en commun c’est un infantilisme qui refuse la créativité de l’infantile). Notre modernité, malade d’une catastrophe du sensible, en manque d’un rapport suffisamment immédiat au monde, donne l’impression d’être en proie à une misère symbolique. La libido, privée d’objets d’investissement valorisables, dans un contexte de crise de la famille et d’effondrement des repères identificatoires parentaux, s’engouffre dans des flux en circuit court incapables de rétention, et ne menant qu’à des décharges sans satisfaction véritable.

On ne sait s’il faut parler d’incontinence ou d’hémorragie à propos de ces conduites qui, sous couvert de discuter sérieusement, par exemple de leur problème amoureux avec leurs copines ou leurs mères, amènent aujourd’hui beaucoup d’adolescentes mais aussi de jeunes femmes à trop vite tout raconter, de sorte que l’intériorité ne se constitue pas ; un cercle vicieux s’établit, cette fermeture insuffisante de l’intériorité entraînant de nouveaux échecs dans les rencontres amoureuses, et un besoin oral régressif accru de confidences, n’espérant plus trouver l’apaisement chez l’amie ou chez la mère mais continuant à solliciter une réponse, une satisfaction, que leurs interlocutrices ne peuvent leur procurer. Le déversement externalisant, sous prétexte d’une communication aidante (la plus consciente et la plus transparente possible) avec autrui, acquiesce à la logique d’une jouissance sans plaisir, au besoin impérieux d’une soif sans satiété possible, bref, à une addiction à la parole, d’autant plus résistante à l’analyse qu’elle risque d’être interprétée comme tendance homosexuelle, alors qu’elle relève surtout d’un besoin de manque.

L’excitation comme procédé auto-calmant

On observe aujourd’hui chez de nombreux adolescents un recours à des procédés d’une excitation paradoxalement désexualisante – l’effet induit par les addictions et par les situations extrêmes, mais aussi des agissements sexuels où le sujet ne s’implique pas vraiment. Le sujet évite d’avoir à se confronter au conflit œdipien, en le fuyant dans l’économie étrange des « procédés auto-calmants » par saturation de l’excitation dont parle Claude Smadja[3].

Tout se passe comme si les grandes quantités de libido que le sujet doit travailler à introjecter, fuyaient en tous sens. Le recours à une excitation délibérément recherchée peut alors représenter un contrôle minimal, au prix d’une incapacité à trouver la satisfaction, une sexualisation manifeste pouvant recouvrir une désexualisation. Ce type de fonctionnement, on le discerne aussi chez l’adulte atteint par le syndrome de l’accélération de la vie professionnelle mais aussi privée, le menant au stress et à une saturation psychique : une accélération supplémentaire peut étrangement procurer alors un répit, l’externalisation de l’agitation interne (qui risquait de morceler la vie psychique) se portant sur des espaces spécifiques isolés et contrôlés (consommer des produits excitants, etc.).

La symptomatologie de l’agir et de la décharge la plus rapide possible ne résulte pas ici de processus primaires, demeurés en leur fonctionnement puéril, provenant d’une psychose infantile ou d’une dysharmonie d’évolution de l’enfance, mais d’une tentative (qui a échoué) lors de l’adolescence, de supporter l’accroissement d’excitation consécutif à l’effort d’« ajournement de la décharge » ou de « suspension, devenue nécessaire » (Freud S., « Formulations sur les deux principes du cours des événements psychiques », 1911), à la constitution d’un moi capable de connaître et de contrôler les processus primaires, la rétention procurant l’espace psychique intérieur où un désir personnel pourra être ressenti psychiquement et subjectivé.

L’impact de l’actuel malaise dans la culture

Au cœur du malaise dans culture, on trouve, dit Freud, l’« ubiquité de l’agression et de la destruction non érotiques » et de la « perturbation apportée à la vie en commun par l’humaine pulsion d’agression et d’auto-anéantissement[4] ». Comment sortir de l’oscillation entre la déflexion vers l’extérieur de la pulsion de mort, qui mène le lien social aux confins de la barbarie, et la censure de cette agressivité, qui génère la névrose et aussi, finalement, une destructivité ? L’idée toute simple d’une répression des besoins pulsionnels, menant à la révolte contre les exigences de la culture, s’élargit d’emblée en une vue plus compliquée : la censure ne doit pas être complètement levée si l’on veut préserver la culture. Résultat d’un impossible équilibre : la barbarie infiltre en permanence la civilisation de l’intérieur, et finit par cohabiter cyniquement avec une destructivité qui ne cherche même plus désormais à se dissimuler. Ce paradoxe trouve sa clef dans la théorie de la violence mimétique :

« La sévérité originelle du surmoi n’est pas – ou pas tellement – celle qu’on a connue de lui ou qu’on lui impute, mais bien celle qui représente notre agression contre lui. »

Comment sortir d’une telle confrontation en miroir, d’une telle projection, immédiate et massive, dès lors qu’elle se répand dans les symptomatologies de la modernité, les fonctionnements en processus primaires sans limites, la phobie de l’intériorité psychique et la fuite dans l’agir et l’externalisation ? Reprenons, en la condensant, la phrase de Freud : la sévérité du surmoi représente notre agression contre lui. Que faire donc, face à une projection tellement immédiate et massive ? C’est la question des processus adolescents de subjectivation dissociés entre censure et disparition de toute limite.

L’autorité légitime ne s’applique plus de la même façon à tous, ici, elle est laxiste et complaisante, là, sadiquement ou grotesquement répressive. On observe en conséquence un mécanisme de déplacement sur des thématiques que l’on croyait historiquement dépassées – les formes intolérantes du religieux, la dérivation de la peur collective en racisme ou en xénophobie –, ou encore des agissements antisociaux qui frappent les esprits par le caractère inattendu de leurs protagonistes comme dans le cas récent de jeunes adolescentes qui en ont torturé férocement une autre, sans essayer ensuite de minorer la gravité de leur acte par quelque discours que ce soit.

On n’a jamais vu donc une telle tension, entre, d’un côté, les idéaux de respect d’autrui et de maîtrise des pulsions et, de l’autre, l’apologie d’une liberté individuelle supposée capable de se représenter, d’expérimenter et de vivre pleinement les mouvements pulsionnels les plus variés – ce qui induit une désorganisation de la topique subjective ça/moi/surmoi, autrement dit un état limite. Les adolescents vivent cette injonction à l’expression pulsionnelle dans l’excitation, mais aussi dans l’effroi.

Le sexuel en état limite

Dans les états limites, les éprouvés pulsionnels sont mieux tolérés que les affects. On pourrait dès lors considérer que nous assistons au remplacement du paradigme de la névrose par celui des états limites, avec leur cortège d’aménagements pervers contra-dépressifs. La situation semble plutôt être la suivante : l’inhibition du désir « vrai » – relié à l’histoire singulière et aux objets internes inconscients œdipiens – utilise les mécanismes compliqués des fonctionnements limites plutôt que le mécanisme plus simple du refoulement. On a alors affaire à des pathologies mixtes névrose/fonctionnements limites, dans lesquelles le conflit pulsionnel intérieur au psychisme théorisé par la psychanalyse, toujours central, s’est en même temps transformé en quelque chose de différent.

Dans l’un des écrits testamentaires de Londres, peu de temps avant sa mort, Freud donne une forme à quelque chose qui a peut-être toujours existé, mais n’a que depuis peu trouvé une large expression : des plaisirs vécus dans l’insatisfaction, la solitude, la non-rencontre, la sensation que l’autre n’est pas vraiment là, ou la sensation pénible d’une génitalité manifeste qui ne fait que recouvrir deux autoérotismes qui s’utilisent l’un l’autre : « La conscience de culpabilité se développe aussi à partir de l’amour insatisfait. Comme la haine. À partir de ce matériau, nous avons dû véritablement produire tout ce qu’on veut comme les états autarciques dans leurs « produits substitutifs[5] ». » Reprenons la progression de cette tournure très condensée : l’insatisfaction de l’amour, la culpabilité, puis les défenses autarciques – c’est peut-être mieux trouvé que « identitaires-narcissiques » ou « cas-limites » – qui vont jusqu’à leurs « produits substitutifs », c’est-à-dire jusqu’à l’infini des constructions psychiques addictives, schizoïdes et contradictoires de la personnalité moderne. Dans une autre de ses ultimes notations de 1938, Freud évoque la « faiblesse de la synthèse » par le moi, corollaire d’une « conservation du caractère des processus primaires » puis il ajoute : « La sexualité infantile a encore une fois ici fixé un prototype. » Il invite par là, je crois, à penser les fonctionnements contemporains en processus primaires et les états psychiques borderline qu’ils génèrent, à partir du champ de la théorie sexuelle.

L’insatisfaction sexuelle est aussi répandue que jadis, malgré un exercice plus libre de la sexualité. Tout se passe aujourd’hui comme si de nombreux sujets étaient victimes d’une nouvelle névrose actuelle, en proie à une angoisse qui semble émerger d’une activité sexuelle non perturbée (du moins en apparence) : parce que la décharge de la tension pulsionnelle, sans rétention ni intériorisation psychique du désir, ne peut pas être vraiment satisfaisante ; parce que l’insuffisante liaison des processus primaires libère ce qui est sous-jacent au principe de plaisir, une répétitivité de plus en plus automatique du rythme de la pulsion et, corollairement, sa régrédience vers un simulacre de l’instinct animal, c’est-à-dire, finalement, vers une désexualisation de la pulsion dans son exercice même. La « névrose actuelle » dont parlait Freud était caractérisée par une inhibition de l’exercice de la sexualité, la névrose actuelle contemporaine, corollaire de l’extériorisation et de la méconnaissance des conflits intrapsychiques, semble souffrir d’un excès de désinhibition : les deux ont pourtant en commun un même défaut d’élaboration psychique et de l’intériorité.

 

[1] Cf. F. Richard, L’actuel malaise dans la culture, Paris, Ed. de l’Olivier, 2011.

[2] Cf. F. Richard, La Rencontre psychanalytique, Paris, Dunod, 2011.

[3] Cl. Smadja, « À propos des procédés auto-calmants du moi », Revue Française de Psychosomatique, n°4, 1993.

[4] S. Freud (1929), Le Malaise dans la culture, O.C.P. XVIII, P.U.F., 2002, pp. 306 et 333.

[5] S. Freud (1938), « Résultats, Idées, Problèmes », Résultats, Idées, Problèmes, II, P.U.F., 1985.

 

François RICHARD

Professeur de psychopathologie à l’Université Paris 7 Denis Diderot (Centre d’Études en Psychopathologie et Psychanalyse).

Psychanalyste membre de la Société Psychanalytique de Paris.

BIBLIOGRAPHIE

Cahn R., Adolescence et folie. Les déliaisons dangereuses, Paris, PUF, 1991.

Freud S. (1911), « Formulations sur les deux principes du cours des événements psychiques », in Résultats, idées, problèmes, I, Paris, PUF, 1966.

Freud S. (1929), Le malaise dans la culture, OCFP, XVIII, Paris, PUF, 1994.

Freud S. (1938), « Résultats, idées, problèmes », in Résultats, idées, problèmes, II, Paris, PUF, 1985.

Green A., Le Travail du négatif, Paris, Minuit, 1993.

Richard F., Les Troubles psychiques à l’adolescence, Paris, Dunod, coll. Topos, 1998.

Richard F., Le Processus de subjectivation à l’adolescence, Paris, Dunod, coll. Psychismes, 2001.

Richard F., La Rencontre psychanalytique, Paris, Dunod, coll. Psychismes, 2011.

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Smadja C., « À propos des procédés auto-calmants du moi », Revue Française de Psychosomatique, n° 4, 1993.

Winnicott D.-W. (1960), «  Distorsion du moi en fonction du vrai et du faux « self » », in Processus de maturation chez l’enfant, Paris, Payot, 1970.

Winnicott D.-W. (1963), « De la communication et de la non-communication suivi d’une étude de certains contraires », in Processus de maturation chez l’enfant. Développement affectif et environnement, Paris, Payot, 1970.


 

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