Venerdì, Aprile 25, 2025

NOTA! Questo sito utilizza i cookie e tecnologie simili.

Se non si modificano le impostazioni del browser, l'utente accetta. Per saperne di piu'

Approvo

I cookies sono dei piccoli file di testo che, trasferiti sull’hard disk del computer dei visitatori, consentono di conoscere la frequenza delle visite e quali pagine del sito vengono visitate dai netizen. Si tratta di dati che non permettono di procedere all’individuazione dell’utente (ma la sola provenienza dell’azienda), non incrociamo le informazioni raccolte attraverso i cookies con altre informazioni personali. La maggior parte dei browser può essere impostata con modalità tali da informarla nel caso in cui un cookie vi è stato inviato con la possibilità, da parte sua, di procedere alla sua disabilitazione. La disabilitazione del cookies, tuttavia, può in taluni casi non consentire l’uso del sito oppure dare problemi di visualizzazione del sito o delimitare le funzionalità del medesimo sito, pur se limitatamente ad aree o funzioni del portale.

La disabilitazione dei cookies consentirà, in ogni caso, di accedere alla home page del nostro Sito. Non viene fatto uso di cookies per la trasmissione di informazioni di carattere personale, né vengono utilizzati c.d. cookies persistenti di alcun tipo, ovvero sistemi per il tracciamento permanente degli utenti. L’uso di c.d. cookies di sessione (che non vengono memorizzati in modo persistente sul computer dell’utente e svaniscono con la chiusura del browser) è strettamente limitato alla trasmissione di identificativi di sessione (costituiti da numeri casuali generati dal server) necessari per consentire l’esplorazione sicura ed efficiente del Sito. I c.d. cookies di sessione utilizzati sul Sito evitano il ricorso ad altre tecniche informatiche potenzialmente pregiudizievoli per la riservatezza della navigazione degli utenti e non consentono l’acquisizione di dati personali identificativi dell’utente. Coloro che intendono avvalersi della sezione riservata del sito prestino attenzione alla specifica informativa anche relativamente all’uso dei cookies.

Origine e costruzione di aree psicotiche della personalità (11 settembre 2021). Report di Veronica Nicoletti

Nel ventesimo anniversario dell’attentato alle torri gemelle, il Centro di Psicoanalisi Romano ha organizzato una giornata di riflessione sulla psicosi su piattaforma internet dal titolo “Origine e costruzione di aree psicotiche della personalità”, nella quale Basilio Bonfiglio e Franco De Masi hanno portato ciascuno un proprio contributo teorico e clinico sul tema. La coincidenza temporale dei due eventi, ci ha permesso, come ha notato Alessandra Balloni, che presentava la giornata, di connettere le immagini e i vissuti angosciosi del tragico attentato a simili vissuti emotivi e sensazioni che possono essere evocati nell’analista quando entra in contatto emotivo profondo con un paziente che attraversa un crollo psicotico.

 

Dopo una breve presentazione dei due relatori e del discussant Giorgio Campoli, siamo entrati nel vivo della riflessione attraverso il contributo di Basilio Bonfiglio, dal titolo “Essere schiavi dei propri pensieri: riflessioni sul funzionamento di aree psicotiche della personalità”. Nel lavoro l’autore presenta con estrema chiarezza le ipotesi considerate alla base dello sviluppo di aree psicotiche della personalità, premettendo l’inesistenza di una differenziazione netta tra pensiero cosiddetto normale e pensiero psicotico e sostenendo quindi differenze tra gli individui solo quantitative e non qualitative, secondo un continuum che va dallo sviluppo sano fino all’emergere della patologia psicotica.

Basilare per l’avvio di processi di sviluppo psicofisico è la presenza di una relazione tra due individui, affinché lo sviluppo della mente e la soggettivazione possa avvenire attraverso complessi meccanismi di rispecchiamento e sintonizzazione emotiva, come già intuito da Winnicot e Bion e attualmente confermato dalle Neuroscienze. In particolare, l’autore sostiene che una delle funzioni essenziali del genitore in grado di garantire uno sviluppo sano del bambino è la sua capacità di confermare al bambino che le sue percezioni sono reali e hanno un significato. La madre deve saper “presentare il bambino a sé stesso e insieme il mondo degli oggetti e delle persone”, confermandogli, attraverso operazioni di sintonizzazione affettiva, la realtà, il valore e il senso dei propri vissuti e percezioni, sventando così l’instaurarsi di sentimenti di vuoto, inesistenza, incertezza esistenziale. La certezza del valore delle proprie percezioni - poiché esperite anche dall’altro - diviene esperienza effettiva integrata nella soggettività e parte costitutiva della persona. Inoltre, lo scarto tra il percepirsi del bambino e ciò che gli viene rimandato dal genitore crea le basi per la differenziazione ‘Io’ e ‘Tu’, fondamentale per lo sviluppo. Quando l’accudimento del genitore appare inadeguato per condizioni sfavorevoli (eccessiva angoscia del genitore, intrusività, prevalenza di pensiero concreto, incapacità di accogliere la libera espressione del figlio, difetti di immedesimazione etc..), il bambino non ottiene quella conferma essenziale per lo crescita, anzi tende a svilupparsi una simbiosi parassitaria tra i due, con aree reciproche di permeabilità e collusione, dove la fisiologica comunicazione relazionale viene sostituita da eccesso di identificazioni proiettive. Ciò sollecita nel bambino, futuro analizzando, la creazione di spazi mentali immaginari, come estremo tentativo di mantenere una soggettività distinta, che creano delle "bolle di esistenza totalmente separate dalla realtà costituite di fantasticherie e rimuginazioni”, plasmabili secondo i propri bisogni o desideri. Ecco quindi che, qualora un simile analizzando riesca ad accedere a una relazione di cura, l’analista viene sollecitato ad ascoltare e accogliere le sue richieste di ricevere e trovare finalmente ciò che è mancato: una relazione dove possa avvenire quella ripetuta conferma dell’espressione autentica di sé quando si manifesta. L’analista è chiamato, secondo l’autore, ad adattare il proprio mondo emotivo, i propri pensieri e i propri comportamenti alle possibilità del paziente, creando quelle condizioni ambientali che gli consentano di funzionare al meglio e di vivere un’esperienza trasformativa, attraverso una capacità di ascolto psicoanalitico teso all’accoglimento, alla comprensione e alla conferma di sé. Mantenendo l’attenzione ai funzionamenti primitivi dell’analizzando, comunicati attraverso un canale non verbale, l’analista può inoltre trasmettere fiducia e garantirgli di non essere prevaricato da un analista oggetto spesso di massicce proiezioni.

Tali riflessioni vengono illustrate attraverso alcuni casi clinici dai quali si percepisce la presenza discreta ma internamente vigile e ricettiva dell’analista, pronto a cogliere sia le comunicazioni verbali che quelle non verbali, riuscendo in questo modo a sintonizzarsi sul livello nel quale si esprime il bisogno di conferma e riconoscimento del paziente. Come ricorda l’autore, il setting interno dell’analista è di fondamentale importanza, in quanto il lavoro che l’analista fa durante e dopo la seduta sui propri vissuti, consente la comprensione delle dinamiche transferali e di ciò che è avvenuto nel “lì e allora” che viene riproposto nel “qui e ora”, oltre a consentire all’analizzando di sentirsi più integrato, anche nei momenti più difficili. È così che l’ascolto analitico e la presenza viva dell’analista può creare quelle condizioni ambientali favorevoli che facilitano la mobilitazione delle potenzialità dell’analizzando, rimaste in attesa dell’occasione idonea al loro sviluppo, anche a partire dal suggerimento che persino l’esplicitazione della regola fondamentale possa spostare l’enfasi sulla comunicazione verbale e possa essere percepita come una richiesta da soddisfare. Nel dettaglio degli scambi clinici, non vengono omesse quelle momentanee difficoltà dell’analista a sostenere l’incertezza e il sentimento di non sapere, che tuttavia, una volta comprese, possono essere utilizzate come occasioni trasformative per l’analizzando. Infine, l’autore esplicita un’avvertenza tecnica nell’analisi degli psicotici che consiste nell’aiutarli a individuare gli inneschi attivanti le loro reazioni emotive, ricreando il collegamento tra eventi scatenanti e vissuti emotivi, al fine di rendere più comprensibili quei vissuti che altrimenti possono dare origine alle costruzioni deliranti, foriere di coerenza apparente.

Successivamente, nel suo lavoro dal titolo “Il ritiro infantile. Un’ipotesi sull’origine della psicosi”, Franco De Masi ipotizza che alla base della psicosi vi sia la costruzione, a partire dall’infanzia, di una realtà sensoriale dissociata, alternativa alla realtà psichica, che cattura il soggetto sottraendolo alle relazioni con i coetanei e con gli affetti. Il ritiro psichico inizia verosimilmente con un’amplificazione dei canali sensoriali in risposta a un oggetto primario incompetente e\o traumatico, fino alla creazione di una realtà sensoriale fantastica, che isola il soggetto, alterando il suo contatto con la realtà emotiva, gli fornisce una illusoria autosufficienza e onnipotenza gratificante, e cancella la percezione delle carenze dell’ambiente primario: assenza emotiva dei genitori, intrusività o eccessiva angoscia del caregiver. Lo psicotico quindi non attacca l’oggetto e la realtà - come proposto dalla iniziale teorizzazione kleiniana - bensì si isola in un mondo che fornisce piacere, sentimenti di onnipotenza e negazione della dipendenza. La creazione del ritiro fantastico sensoriale sancisce una scissione della vita mentale non più transitoria - come nel gioco e nelle fantasticherie dei bambini - che rappresenta la differenza qualitativa tra il funzionamento normale e quello psicotico.

Tra i riferimenti ad altri autori, nel lavoro De Masi si concentra in particolare nel definire la differenza del ritiro infantile dal concetto di rifugio psichico di Steiner. Quest’ultimo rappresenterebbe infatti un’organizzazione difensiva della personalità, che può assumere caratteri deliranti ma che si presenta come secondaria alla catastrofe legata alla frammentazione psicotica; il ritiro invece si sviluppa in maniera primitiva durante l’infanzia e successivamente può subire una trasformazione delirante, con vissuti inizialmente spesso piacevoli e successivamente a carattere aggressivo e persecutorio.

Inoltre, la differenza sostanziale tra i due è il carattere sensoriale del ritiro, nel quale non avvengono le operazioni tipiche della realtà psichica simbolica e affettiva. Nel ritiro, infatti, il paziente non ha una relazione con l’altro, non apprende dall’esperienza emotiva, non conosce sé stesso, non comprende gli stati d’animo altrui, le sue operazioni mentali non possono essere né rimosse, né sognate. Nel ritiro quindi la mente è usata come un organo sensoriale, che produce immagini sensoriali vissute come reali, manca il pensiero associativo per cogliere la realtà psichica. Per questo, secondo l’autore, è pericoloso utilizzare il modello interpretativo dell’inconscio dinamico nell’analisi degli psicotici, in quanto l’analista può essere facilmente vissuto come un Super-io persecutorio, mentre appare più indicato aiutare il paziente a ricostruire l’esperienza infantile e a vedere come il processo psicotico sia collegato al ritiro infantile grandioso. Considerare il ritiro psichico come un precursore della psicosi aiuta a comprendere l’origine e la natura del processo psicotico e rende possibile sviluppare un modo per trattare questa tipologia di pazienti, che contempli adattamenti nella tecnica analitica. Quanto espresso a livello teorico, viene dall’autore esemplificato dettagliatamente nella descrizione di un caso clinico e delle vicende del lungo trattamento analitico.

Alla conclusione della lettura delle relazioni dei due autori, si sviluppa una piacevole discussione ricca di interventi, domande, suggestioni promosse da un numeroso gruppo di auditori (circa 160) interessati al tema e verosimilmente implicati a vario livello nella cura di pazienti gravi.

Introduce la discussione Giorgio Campoli che evidenzia aspetti comuni ai due autori soprattutto nella qualità dell’ascolto analitico e dell’assetto privo di trionfalismo maniacale o di tentazione riduzionistica, nella cura del setting, nella considerazione delle scoperte dell’Infant Research e delle Neuroscienze. A ciascuno separatamente pone questioni che riprendono i temi emergenti nei lavori e che riguardano, per De Masi, il ruolo della sensorialità nella vita psichica e il rischio di rendere irreversibile l’espulsione di una parte di sé del paziente scissa dal processo psicotico; per Bonfiglio la possibilità che l’analista non si ponga solo accanto o dietro al paziente ma che possa funzionare da terza area che coinvolge intersoggettivamente il paziente.

Le sollecitazioni poste guidano l’evolversi della discussione che, oltre a riportare chiarimenti e precisazioni degli autori, includono altre osservazioni che affrontano il ruolo della diagnosi, delle relazioni primarie patogene, delle modificazioni della tecnica nella cura della psicosi e l’invito a supportare i due modelli operativi proposti con dati di efficacia per continuare ad arricchire la riflessione teorico-clinica sul tema della psicosi che ha riscosso un visibile interesse.

София plus.google.com/102831918332158008841 EMSIEN-3

Login