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L'omicidio in adolescenza: quale possibile elaborazione. Report di Valentina Nanni (17 novembre 2022)

Davanti ad eventi complessi quanto drammatici, quale elaborazione è possibile? Che tipo di contributo può offrire la psicoanalisi? Quale il modo migliore per accostare certe drammatiche vicende e i corrispondenti vissuti?

Nella serata dedicata all’omicidio in adolescenza, Francesco Burruni prova a fornire alcune riflessioni in merito. Ne discute con Lorenzo Iannotta e con la vasta ed interessata platea di ascoltatori.

Burruni apre la trattazione proprio attraverso un quesito. Sollecitato dalle considerazioni di Michael Tomasello si domanda come sia possibile conciliare la straordinarietà del genere umano, capace di identificazione e condivisione, con la brutalità dell’omicidio. Un simile interrogativo pone questioni ancora più articolate quando avviene ad opera di un/un’adolescente o un gruppo di adolescenti. Essendo questo un periodo ricco di sfide evolutive e risorse, tra cui la complessa costruzione della propria identità, cosa significa commettere un omicidio? Quali conseguenze? E, di nuovo, quali possibili elaborazioni?

Quanto è importante, dunque, che nella relazione analitica si tenti di accostare l’azione omicida evitando il pericoloso utilizzo del concetto di personalità omicida, che rischierebbe di incastrare il/la ragazzo/a dentro un’identità in un periodo di impasto e costruzione potenziale? Ampliare l’orizzonte consente di scorgere, oltre il gesto, le componenti dell’azione violenta.

La serata prosegue infatti con un’interessante descrizione della violenza come concetto complesso, costituito da condizioni psicologiche individuali che si intrecciano con fattori familiari, culturali e sociali.

Attraverso riferimenti teorici, si giunge alla definizione di violenza di Glasser (1985) come aggressione al corpo di un’altra persona attraverso la penetrazione della barriera fisica; nonché alla formulazione che ci offre Meltzer (1988) che descrive come forma intrusiva di violenza quella che oltrepassa i confini psichici, oltre quelli fisici.

Secondo gli autori che hanno approfondito il tema, la violenza può essere reattiva ad una minaccia subìta da un Sé narcisisticamente percepito come fragile, ma anche di natura più psicopatica, sadica.

Jeammet, sulla violenza in adolescenza, si sofferma sul gioco dialettico tra fattori interni ed esterni, passando per il mondo percettivo motorio che gioca un ruolo significativo rispetto all’agire la violenza.

Molti sono concordi sul sottolineare il ruolo dell’empatia nella comprensione del gesto violento (Fonagy, Target, Baron-Cohen). L’empatia funzionerebbe come la sicura di un’arma, pronta a scattare in situazioni di rischio. Viceversa i deficit di mentalizzazione o le momentanee erosioni delle capacità empatiche potrebbero favorire questo disinnesco della sicura e facilitare azioni violente.

In adolescenza numerosi sono i fattori in gioco. Burruni si sofferma sulle trasformazioni puberali e sui cambiamenti corporei che mettono al centro delle dinamiche adolescenziali non solo il proprio corpo, ma anche il corpo altro e il corpo dell’altro. Il corpo che è attore, scenario, oggetto.

Fonagy e Target pongono alla base dei gesti violenti, autorivolti e rivolti ad altri, un gravissimo deficit di mentalizzazione a causa del quale i propri stati mentali vengono rappresentati in termini corporei e, di conseguenza, si è portati a credere che anche le menti altrui siano accessibili attraverso i loro corpi.

Jeammet ne parla in termini di “straripamento dell’apparato psichico (2006)” sul mondo esterno: il pensiero, nella difficoltà di contenimento di istanze interne altrimenti non rappresentabili, nel farsi concreto straripa verso l’esterno.

In alcuni recenti lavori lo stesso Burruni ha sottolineato l’importanza delle connessioni tra interno ed esterno nella modulazione delle emozioni: qualcosa di simile ad una termoregolazione emotiva che consente in adolescenza, pur a fronte di qualche straripamento (come suggerito da Jeammet), di far fluire una circolarità tra interno ed esterno, uno scambio proficuo. In sua assenza, l’intensità delle emozioni e delle fantasie si manifesta, nel mondo esterno, nella concretezza e nella simmetrizzazione.

Nelle forme più severe, lo straripamento assume la veste di svuotamento (secondo l’idea di B. Joseph, 2012) in cui non solo manca una possibilità di interscambio tra interno ed esterno, ma siamo al cospetto di un grave quadro dissociativo.

È su queste note che si concentrano molte delle successive riflessioni che la platea solleva, sollecitata anche da alcuni riferimenti clinici di grandissimo interesse. Come può l’analisi offrire una qualche forma di comprensione di simili gesti? E come accostare chi ha compiuto un’azione violenta all’azione stessa?

A proposito della possibile elaborazione dell’omicidio in adolescenza, Iannotta, nella sua discussione, propone una rilettura teorica delle riflessioni attorno all’aggressività, a partire dalle sollecitazioni offerte da M. Klein sul valore dell’interazione precoce tra amore e odio e sui fattori responsabili del circolo vizioso tra odio, angoscia, sentimenti di colpa e aumento dell’aggressività.

Nel corso del dibattito si riconosce il ruolo significativo dell’analista nell’attribuire significato all’aggressività, sia nel senso della pulsione primaria che deve essere controllata e addomesticata, sia come strumento di competitività sana nelle fasi di sviluppo e nel processo di soggettivazione.

Iannotta evidenzia con enfasi tre punti della relazione di Burruni: la valenza dell’aggressività come gesto contemporaneamente lesivo ed autolesivo, l’impiego dei sogni e l’utilizzo della tecnica.

Sul primo punto individua una possibile nuova ipotesi che Burruni solleva: l’azione omicida può rivelarsi traumatica per l’autore stesso. Sulla scia della teorizzazione di Matte Blanco, che sottolinea come un’azione possa essere simmetrizzata, sovrapposta ad un’altra, soprattutto in occasione di situazioni traumatiche, sembra che Burruni voglia indicarci che azioni violente, come tagliare, equivalgano al tagliarsi. In una sorta di indistinzione tra vittima e carnefice, chi agisce violenza, affondando la lama, ripercorre sulla sua stessa pelle i tagli inferti.

D’altra parte, i sogni offrono una preziosa occasione che consente di accostare i vissuti dolenti dell’autore della violenza ad un’opportunità di intravedere aspetti dissociati allo scopo di tutelare l’integrità del fragile Sé.

Avvicinare quest’area è una sfida significativa per l’analisi, alla quale Iannotta, attraverso i preziosi spunti di questa serata, riconosce il complesso compito di muoversi verso il tentativo di mantenersi vivi e di tentare di dare vita al Sé e all’oggetto.

 

 

La relazione di Francesco Burruni è disponibile nell'area privata del nostro Archivio. Per accedere clicca QUI

 

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