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Report di Francesco Paolo Di Nucci sul Convegno "Etica e Mito" (7-9 giugno 2013)

Un convegno, due tragedie, un anacronismo

I lavori del Convegno Etica e Mito, organizzato a Siracusa dall’Associazione Pubblic/Azione dal 7 al 9 giugno, hanno, per chi ha partecipato, ‘preparato e seguito’ la rappresentazione delle due tragedie di Sofocle in programma al teatro greco: Antigone il 7 sera, Edipo Re l’8 sera.

Assistere alla rappresentazione di Antigone prima di assistere alla rappresentazione di Edipo Re, e viceversa assistere ad Edipo Re avendo la sera prima assistito all’Antigone, può disorientare e far perdere l’ordinario orientamento narrativo delle vicende della ‘figliolanza’ di Cadmo: “Creature, carne in cui Cadmo antico vive!”, come recita l’incipit di Edipo Re.

Nel cosiddetto ciclo tebano di Sofocle, e nella gran parte delle edizioni economiche italiane, Edipo Re precede Edipo a Colono che precede Antigone.

Al disorientamento temporale si può aggiungere, poi, l’idea che Sofocle scrisse prima Antigone, rappresentata nel 442, poi Edipo Re presumibilmente intorno nel 411, e quando è alla fine della sua vita, una vita lunga e ‘activa’, scrive Edipo a Colono, che verrà rappresentato postumo, nel 401, dal nipote Sofocle il giovane . Così, invece di una trilogia, che era la forma canonica con cui un tragediografo si presentava ad un ‘concorso’, abbiamo la parte di un ciclo.

Sembra essere Sofocle stesso a scompaginare la sequenza narrativa del mito, quasi a sottolineare che il mito è ‘intessuto’ da un tempo che non è il ‘tempo ordinato’ di una narrazione storica di eventi. E’ Sofocle che per tre volte, a distanza di molti anni di una tragedia dall’altra, ‘avverte l’urgenza’ di riprendere e continuare a pensare il ‘racconto’ di Edipo.

Come duemila e cinquecento anni fa, gli spettatori che assistono al ciclo delle tragedie conoscono le vicende del mito, in modo più o meno sommario, e, insieme, sanno di essere ‘il popolo di Tebe’. La potenza evocativa del teatro greco di Siracusa e delle scenografie possono accentuare così consapevolezza e disorientamento.

Lo scenografo, quest’anno, ha potuto utilizzare come elemento centrale, sia per la prima, sia per la seconda messa in scena, le mura di Tebe. Ad un’economia di mezzi corrisponde, in questo caso, un di più di efficacia.

Nell’Antigone, delle sette porte di Tebe, quattro sono divelte e collegano la porta centrale, ‘riparata’ o integra, (dove presumibilmente hanno combattuto e si sono dati la morte Eteocle e Polinice), con la campagna di Tebe. Possiamo vedere che due porte sono ancora semidivelte. Possiamo immaginare che gli altri quattro varchi, da cui ‘provengono’ le porte, siano aperti e che nella campagna, da qualche parte, ci sia il corpo di Polinice: “L’altro, dolorosa morta carne, Polinice, fa gridare a Tebe ch’è cancellato, escluso: nessuno l’affonderà sottoterra. Senza ululi, lutto. Starà là scoperto, inaridito, miniera di sapori per artigli, pupille affascinate dalla preda cruda”.

Nell’Edipo Re le mura sono le stesse, sono compatte, non hanno porte. Sulla scena una gigantesca Sfinge ‘sorge’ dalla terra. Non vediamo le sette porte ma possiamo immaginare che siano al loro posto. Sono ancora lontani dal riunirsi ‘i sette contro Tebe’: Eteocle e Polinice, Antigone e Ismene, sono ancora i piccoli figli di Edipo e Giocasta.

Chi aveva assistito qualche anno fa alla memorabile messa in scena dell’Edipo a Colono, con Giorgio Albertazzi nel ruolo di Edipo, completa idealmente, nello stesso luogo, dopo un certo tempo, l’esperienza del ciclo tebano. L’attore che quest’anno interpreta Edipo, Daniele Pecci, ha raccontato in un’intervista che, all’inizio delle prove, lo hanno accompagnato a scegliersi tra gli attrezzi di scena, il bastone del re. Il bastone che ha scelto, gli hanno poi detto, è quello che aveva usato Albertazzi.

Dopo Antigone, prima di Edipo Re, a metà dei lavori del convegno, un punto alto, o profondo, mi sembra sia stato raggiunto nel confronto, e nella divergenza, delle relazioni di Emma Seminara, La disobbedienza di Antigone alla Legge, di Giovanna Goretti, Per un pugno di polvere, e di Noemi Saggioli, Antigone e Ismene o della sorellanza. Le tre interpretazioni mostrano che la responsabilità di quanto accade nella tragedia, in un certo senso diventa anche nostra, di spettatori e di lettori, che ancora ci riguarda.

La tentazione ‘hegeliana’ della sintesi, in cui poteva cadere la discussione che è seguita, è stata sottilmente evitata da Fernando Riolo che coordinava i lavori della mattinata.

Si è così incontrato un punto, o forse sarebbe meglio chiamarlo ‘uno scoglio’, che mi sembra tuttora centrale in psicoanalisi e in filosofia: la Poetica di Aristotele e la sua idea che l’imitazione di un’azione (mimesis praxeos) sia il nucleo della tragedia.

Come dice Pierluigi Donini, nella sua introduzione alla Poetica da lui tradotta per l’edizione Einaudi:”(…) quel libro che sembrerebbe dover essere secondo la sua proposizione iniziale una trattazione della poesia si trasforma quasi immediatamente in una monografia sulla tragedia (…..).” Il mito, il ‘racconto’, poi, che è una delle sei parti costitutive della tragedia , appare subito, nella Poetica, come “forma, anima ed essenza del dramma”.

Mimesi e mito, ‘imitazione’ e ‘schemi di azioni’ di stirpi, di casate, si combinano per essere rappresentate davanti agli spettatori che ‘assistono senza poter agire’. Possono, d’altra parte, insieme al coro, provare ‘paura e pietà’ e, ispirati da Tiresia, pensare.

Un’eco di questi pensieri sembra ritornare in Bion quando parla del mito in Elementi di psicoanalisi. Il ‘gioco’ di ripetere, imitare, pensare, interpretare, ‘azioni universali’ in circostanze particolari, sembra rappresentare una base comune a filosofia e psicoanalisi.

L’ imitazione di un’azione, la mimesis praxeos, è lo strato di roccia che fa pensare sia al fondo scuro contro cui la vanga della conoscenza filosofica si piega, sia la base su cui poggia l’etica della psicoanalisi.

Il quadro di Caravaggio, nella Chiesa di Santa Lucia a Siracusa, sembra misteriosamente ‘accennare’ a questi problemi.

                                                                   Francesco Paolo Di Nucci

                                                                       Psicoterapeuta

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