REPORT di Adriana D’Arezzo
Durante il convegno si è respirata una gradevole atmosfera, grazie alla naturale capacità di Allan Shore di trovare connessioni empatiche con gli interlocutori e alla buona articolazione degli interventi che hanno favorito scambi significativi con i numerosi colleghi intervenuti.
Schore ha illustrato nella prima delle due relazioni presentate, il sabato mattina, le caratteristiche del cervello destro, la sua funzione nell’elaborazione inconscia di stimoli emotivi, non verbali, le connessioni con gli altri livelli corticali, sub-corticali e soprattutto la capacità di comunicazione tra gli emisferi destri degli individui. Il ruolo centrale che l’emisfero dx svolge nei primi due anni di vita, prosegue poi durante tutto il corso dell’esistenza, orientando le comunicazioni affettivo - relazionali.
Le caratteristiche del funzionamento dell’emisfero dx, sede della memoria implicita, giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo dell’empatia e nelle relazioni terapeutiche. A sostegno delle sue tesi, l’autore ha portato numerosi studi che connettono le esperienze relazionali con modificazioni rilevabili delle strutture cerebrali.
Schore ha sottolineato le correlazioni tra le modalità relazionali del “caregiver primario intuitivo e psicobiologicamente sintonizzato” e le capacità del terapeuta di sintonizzarsi con le comunicazioni non verbali del paziente, attraverso l’ipotesi della comunicazione da emisfero dx a emisfero dx tra gli individui.
Come l’emisfero dx si connette con quello sx? La questione, posta in altri termini, di cui la psicoanalisi si occupa fin dalle origini, , rappresenta il fulcro degli interventi del convegno che scelgono vertici differenti e che, nell’insieme, concorrono alla creazione di un quadro ricco e stimolante.
M. Ammanniti ripercorre il pensiero freudiano, dagli scritti del 1923 (L’Io e l’es) al Compendio di Psicoanalisi del 1938, rintracciando connessioni tra le originarie intuizioni e gli sviluppi attuali della ricerca. Il corpo viene visto come rappresentazione del luogo in cui “il ricordo implicito dell’esperienza traumatica” deve essere riconosciuto.
G.Monniello mette in relazione le concettualizzazioni di Schore con le teorie dell’attaccamento di Bowlby: ne evidenzia il superamento con la sua teoria della regolazione degli affetti, ma segnala anche il rischio di una lettura riduzionista del pensiero psicoanalitico.
Il pomeriggio si apre in modo poetico con il contributo di Fabio Castriota che propone la visione, accompagnata dalla musica, di un bel filmato “Passaggi neuronali” in cui fotografie colorate di cellule nervose acquistano una dimensione profondamente evocativa. Viene così stabilito un nesso tra arte, psicoterapia, psicoanalisi e creatività. Castriota , inoltre, solleva importanti questioni che riguardano il ruolo del sogno : “esistono sogni dell’emisfero sx?, e sogni che si collocano tra il paziente e l’analista?
Nella tavola rotonda che segue, L. Cappelli si sofferma sul ruolo della vergogna e della colpa e sul contributo della ricerca neuro scientifica che individua una persistente vulnerabilità psico-biologica a livello di nascenti reti di collegamenti neuronali.
F.D’Alberton a partire dalla sua esperienza di clinico in un ospedale pediatrico, invita a riflettere sull’importanza della componente somatica del contenimento nelle prime fasi della vita. Collega il contributo delle neuroscienze con quello di psicoanalisti di tradizioni diverse come Bion, Winnicott, Kohut, dando rilievo alla regolazione degli affetti nella relazione con un altro essere umano. Sottolinea come A. Schore affidi alla competenza della madre nei processi di sintonizzazione con gli stati mentali del figlio, un ruolo centrale nei processi di maturazione dei circuiti cerebrali che determinano l’autoregolazione.
S.Merciai con un intervento sintetico ed efficace, che ha riscosso molto successo, rileva la naturalezza dell’alleanza tra psicoanalisi e neuroscienze che si occupano di obiettivi simili indagando campi di indagine differenti e con strumentari assai diversi. Egli considera della massima importanza per la psicoanalisi l’insieme degli studi neuroscientifici che riguardano i meccanismi di regolazione della vita: l’omeostasi negli animali e negli esseri umani. Illustra l’importanza per quanto riguarda la trasmissione intergenerazionale, dell’epigenetica: “Il DNA non cambia; però il modo in cui viene letto è condizionato dall’eredità di adattamenti posti in essere dalla/e precedente/i generazione/i”.
M. Pigazzini a partire dalla considerazione che il setting utilizzato dalla psicoanalisi costituisce una posizione privilegiata per descrivere i cambiamenti del paziente, ritiene che il contributo delle neuroscienze possa essere prezioso per la capacità di raccogliere i dati entro una matrice specifica. Ogni terapeuta costruisce una sua teoria sul mondo interno del paziente che aggiorna continuamente al fine di modificare la coazione a ripetere; egli pone al centro del suo intervento la necessità “di misurare le piccole differenze nei singoli eventi che si ripetono costanti nel tempo” al fine di elaborarli anche in una comparazione con altri dati. F.Scalzone sostiene che sia la psicoanalisi che le neuroscienze si occupano di strutture virtuali alle quali sottostanno strutture materiali: psiche e soma sono due facce della stessa realtà ed esiste tra loro continuità. Mostra poi come la psicoanalisi si interessi della metamorfosi delle strutture , “come sia possibile passare dalla fenomenica neurobiologica alla fenomenica psicologica…”. Gli enactment, le rotture , punti di disconnessione emotiva tra terapeuta e paziente sono opportunità di cambiamento, se opportunamente trattati.
A partire da un esempio clinico, A. Schore dedica il suo intervento della mattina di domenica, ad illustrare il cambiamento di paradigma nell’approccio agli enactment: essi sono gli unici strumenti per rappresentare aspetti dissociati della mente del paziente. Forniscono una occasione per il paziente di incontrare una parte dissociata di sé e di usare, nel contesto analitico, la sua conoscenza che non ha modo, altrimenti, di essere tradotta in parole. La dissociazione si rende necessaria nell’evoluzione del paziente per difendersi da emozioni soverchianti, si tratta di una difesa del cervello dx da esperienze emotive sconvolgenti. “ Il rimaneggiamento di un ricordo traumatico spesso avviene in un contesto di rottura e di riparazione (Beebe, Tronik, Schore)un meccanismo dell’attaccamento che regola interattivamente stati di stress ed incrementa le capacità di affrontare gli affetti negativi".
Maria Ponsi discute il lavoro di Schore, mettendo in primo piano il cambiamento di paradigma: obbiettivo del trattamento non è la conoscenza del sé, ma la sua crescita; analizza l’uso del termine enactment confrontandolo con quello di acting-out, sostenendo l’opportunità di preservare la convivenza di concetti derivati dall’osservazione clinica e sviluppatisi in differenti prospettive teorico-cliniche, come una ricchezza concettuale preziosa. L’autrice sottolinea, inoltre, l’alleanza Schore-Bromberg come espressione di una proficua intesa tra approcci differenti al pari di scienza-arte. Poter disporre di dati provenienti da discipline affini dà forza alle osservazioni e alle esperienze cliniche in merito all’area della relazione e “fornisce uno strumento di dialogo intra-disciplinare trai differenti modelli”.
Giuseppe Moccia auspica un’ apertura di dialogo “tra modalità di conoscenza e di comunicazione: una, implicita emotiva, intuitiva e partecipata, un’altra, mediata dall’uso delle teorie e delle conoscenze..”. Legge la concezione dell’enactment di A. Schore, in linea con alcuni apporti della psicoanalisi relazionale, come un approfondimento della dinamica transfert-controtransfert, che si articola secondo due versioni:una debole ed una forte. Nella versione forte, il concetto di enactment configura un processo continuo che caratterizza lo scambio tra paziente ed analista. “Una forma di riconoscimento biologico, automatica e preriflessiva, con una sua specifica base neurale…” in continuità con le risultanze sperimentali che attestano che nei primi due anni di vita, il lavoro dell’emisfero dx di processamento della percezione visiva, emotiva e delle espressioni del viso della madre. Nella versione debole, ci si riferisce ad una esperienza relazionale in cui l’esperienza traumatica, che non è stata integrata nel sé, non può divenire oggetto di attenzione riflessiva, né essere simbolizzata; irrompe quindi sulla scena analitica come agito, ripetizione di transfert, identificazione proiettiva.
Le intense giornate del convegno si sono concluse con gli interventi di Tiziana Bastianini che pone l’accento sulla necessità di considerare i processi di formazione delle strutture psichiche e le evoluzioni dalla teoria dell’attaccamento a quella della regolazione affettiva, e quello di Amedeo Falci che considera il bagaglio di teorie di cui siamo portatori come un limite, oltre che ineludibile ricchezza, alla possibilità di lettura e comprensione della mente umana.
In conclusione, il lavoro di A. Schore “dà corpo” alle scoperte della psicoanalisi, rende collocabili meccanismi della mente, permette la verifica scientifica dei risultati dei trattamenti e apre nuove vie alla ricerca. La critica spesso rivolta alla psicoanalisi di sottrarsi alle verifiche empiriche trova una valida opposizione ed il pensiero psicoanalitico si arricchisce di alleanze. Tutto questo è ormai patrimonio di molti psicoanalisti e forse un limite del convegno risiede “nell’eccesso di prove” per qualcosa che credo non richieda più di essere dimostrato; quindi forse, tempo sottratto all’approfondimento di specifiche tematiche. Molte delle quali sono state sollevate negli interventi liberi. Ci si domanda, ad esempio, se non sia giunto il momento di guardare alle specifiche interazioni tra quel paziente e quell’analista, alle caratteristiche specifiche di quegli emisferi dx che, sulla base di specifiche sintonizzazioni, agevolano trasformazioni o, al contrario, le ostacolano. In altre parole, sarà possibile indagare meglio di quanto non si faccia oggi, quale analista per quel paziente?