Report di Laura Accetti sul Convegno "Winnicott e la psicoanalisi del futuro" (30-31 gennaio 2016)
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Categoria: Report eventi scientifici
Il 30 gennaio 2016 si è tenuto a Roma la prima giornata del Congresso dedicato a Winnicott. In questo stesso periodo, il 28 gennaio del 1971, Winnicott moriva a Londra , lasciando al movimento psicoanalitico un grande contributo nella sua capacità unica e spontanea di stare con il paziente, di incontrarlo in maniera totale, recuperando i suoi valori, come anche le potenzialità che vanno al di là dell’idioma convenzionale psicoanalitico.
Questo convegno ha creato molte riflessioni a partire dalla teoria ma come inseparabile dalle esperienze della clinica, o per dirlo altrimenti, in perfetto stile Winnicottiano , utilizzando uno “sguardo” clinico che va di pari passo con nuove scoperte teoriche, l’uno e l’altro arricchendosi reciprocamente.
Il lavoro di Michael Parsons On Being Alive ha restituito un Winnicott che ha saputo interrogarsi sul valore della vita e sul mantenimento di una profonda e personale energia psichica; su cosa sia quel sentirsi vivi, così importante per la propria esistenza. Per l’analista al lavoro l’ essere vivo assume un ulteriore valore e si riassume in un peculiare modo di stare in seduta con il paziente.
Questo è senza dubbio uno degli apporti piu’ importanti ricavato dall’opera Winnicottiana e che ritroveremo in vari interventi di questo convegno: sto parlando della qualità dello “sguardo” che Winnicott pone sui pazienti “difficili”.
La questione dell’essere vivi riguarda una condizione essenzialmente clinica, ha a che fare con il processo interno dell’analista, il suo rimanere vivo nell’interrogare se stesso mentre sostiene il paziente che sta avvicinando gli eventi della propria vita. Cio’ puo’ corrispondere per analista e paziente con l’essere riportati a quella condizione umana del principio della vita, in cui molto si è cominciato a costruire.
Laddove c’è una storia di un oggetto che ha dato forfait non si tratta piu’, per l’analista, di riavviare un funzionamento ma di avere a che fare con profonde distorsioni del Sè e con il dramma che, non essendovi un esperienza da ricordare, l’individuo puo’ giacere sotto la pressione della coazione a ripetere.
Non si puo’ prescindere dal menzionare l’originalità di questo contributo di Winnicott mentre nella Società Britannica dell’epoca il concetto di l’istinto di morte della Klein aveva una posizione di rilievo. Winnicott non ci ha mai creduto
Essere vivi per Winnicott non corrisponde all’essere liberi dalla nevrosi, “ saremmo davvero infelici se fossimo solo sani di mente”. Parson interpreta l’ essere liberi da cio’ che ci affligge, come un funzionamento nevrotico o altro, una libertà negativa, senza che vi sia alcun richiamo su quello che succederà dopo. La libertà positiva guarda in avanti: non riguarda cio’ di cui ci si è liberati, ma ciò che si diviene liberi di fare: agire, pensare, organizzare la propria vita come si vuole. In tal senso l’essere vivo a cui si riferisce Winnicott ha a che fare con il poter essere liberi di rispetto a liberi da, fondamentale per il benessere del soggetto.
Ma questo scenario non puo’ essere dato per scontato e presuppone lo sviluppo di alcune capacità nell’evoluzione di quella traiettoria che va dalla dipendenza assoluta all’indipendenza, e il loro raggiungimento è connesso alle vicissitudini che intercorrono in queste fasi. L’esito sarà un’organizzazione inconscia che permetta il vivere la vita, come dice Ogden, sentendosi vivi e potendone fare un’esperienza attiva o come dice Bion, forse semplicemente potendo lasciare che questa esperienza accada.
L’esito opposto potrebbe essere quello di sentirsi limitati nel proprio modo di stare al mondo: Winnicott lo chiama un vivere in conformità, e comprende un rapporto diverso con la realtà che tra le alternative di vita creativa o non creativa riguarda quest’ultima, che porta con sè un senso di futilità del vivere.
Questo è il turning point concettuale: sentirsi vivi non perchè liberi dai conflitti ma perchè liberi nella capacità di rappresentarli. Una prospettiva che amplia gli scopi della psicoanalisi attuale che punta all’ espansione di una soggettività riflessiva e alla scoperta di un nuovo tipo di ricchezza e di struttura del pensiero, che puo’ essere molto piu’ soddisfacente per il paziente.
Questo cambiamento apre il dibattito sull’azione terapeutica in cui anche il sistema delle libere associazioni va ripensato e considerato non piu’come mero dispositivo utile alla scoperta di conflitti sottostanti alla resistenze ma come sistema associativo, non più singole ed autocontenute quindi, ma ad irradiazione arborescente, che come sostiene Green puo’ favorire l’aumento della complessità psichica.
Cio’ ci riporta inevitabilmente all’idea di Winnicott dell’ appercezione creativa - uno dei due modi di vivere descritto in Gioco e Realtà ( 1971) – come la capacità di percepire qualcosa e di metterla in relazione con il passato. E’ così che ampliamo il nostro personale repertorio di significati. Tanto piu’ è complessa la rete associativa , tanto più la barriera tra conscio ed inconscio diviene porosa, lasciando l’immaginazione libera di esercitare la sua creatività in modi inattesi e imprevedibili.
Nel suo raffinato lavoro, La presenza di Winnicott nel pensiero psicoanalitico contemporaneo, Anna Ferruta prosegue la ricerca su cio’ che rende possibile l’appercezione creativa come “fonte” ( parole mie) per la crescita personale del soggetto.
Partendo dalle parole vive di Winnicott in uno scritto del 65 ( psicologia della follia) l’autrice mostra qualcosa in piu’rispetto all’argomentazione del testo, quando Winnicott riferendosi alle sue ricerche dice, che se pur a volte sia stato preceduto da Freud o altri rispetto alla sue scoperte, cio’ non lo abbia mai distolto dal considerarle sue creature intellettuali (my latest brain-child).
La creazione di un brain-child richiama alla dimensione intrinsecamente creativa di guardare le cose in modo sempre nuovo – quell’ esperienza infantile di creare il mondo. E in queste parole è contenuto un lascito significativo di Winnicott alla psicoanalisi futura: una teoria della mente del soggetto in continuo divenire a contatto con l’altro.
Questa dimensione profondamente Winnicottiana ha contribuito ad ispirare la psicoanalisi relazionale, nella quale l’incontro con l’oggetto è un’esperienza di espansione del Sè.
Pur tuttavia gli sviluppi concettuali di Winnicott non sono stati da lui organizzati in uno schema coerente e completo. L’autrice si interroga se cio’ non possa essere interpretato come espressione di una volontà determinata a non rinunciare alla polarità tra dinamica biologia e costruzione narrativa, già intrinseca al pensiero freudiano. Sembra che Winnicott scelga di mantenere la tensione, convinto che il funzionamento mentale sia in continua trasformazione, e che il modello relazionale possa descriverne alcuni parametri narrativi esplicativi a livello soggettuale (Cahn, 2010), mentre quello biologico possa studiarne altri ( i processi di re-entry di Edelmann,1987).
La crescita psichica continuamente riorganizzantesi a contatto con l’altra mente è, unitamente ai concetti di Area terza e fenomeni transizionali – La soggettivazione- e il Setting alcune delle linee di pensiero scelte da Ferruta per tratteggiare la presenza di Winnicott nel pensiero psicoanalitico contemporaneo.
Esamina l’interesse di Winnicott per quelle condizioni che consentono al bambino di divenire essere umano nel percorso dalla dipendenza spovveduta dall’oggetto alla dipendenza relativa, all’indipendenza, una traiettoria in cui la plasticità e la crescita della psiche procedono dalle origini a tutto il corso della vita attraversate da varie vicissitudini e incontri. L’influenza del modo di pensare la crescita psichica da parte di Winnicott, in cui la comunicazione affettiva inconscia tra i due soggetti dalle prime relazioni tra madre e bambino costituisce un tessuto di formazione e trasformazione dello psichismo, ha orientato la psicoanalisi degli ultimi trentanni a configurarsi come una teoria dei funzionamenti psichici, della loro fisiologia e plasticità.
Il concetto di holding prende forma in questo contesto come esperienza fornita dalla madre nei primi tempi di vita e dall’analista in certe fasi dell’analisi per la sua capacità di tenere insieme aspetti non integrati (esempio lo stare in analisi in condizioni di non-integrazione come aspetto di libertà dicui parlava Parsons).
Senza dubbio, l’autrice individua nell’area dei fenomeni transizionali il contributo fondamentale di Winnicott alla teoria psicoanalitica e cita tutti gli autori che si sono occupati di creatività (Milner 1994, Cahn 2010, Bollas 1995, Poland 2009, ecc)e che hanno trovato nel pensiero di Winnicott sui fenomeni transizionali un terreno di coltura fecondo che hanno espanso. L’interesse alle trasformazioni di Bion è avvenuta in questo contesto, cioè una psicoanalisi dell’espansione delle capacità di pensare sognare grazie all’incontro con un’altra mente.
L’interesse per il divenire soggetto, nel transito tra mondo interno e mondo esterno precede lo sviluppo di un altro grande filone di pensiero psicoanalitico sui processi di soggettivazione nella doppia accezione di conferire importanza alla qualità specifica degli oggetti che il soggetto incontra e al percorso, al lavoro psichico che il soggetto fa (Bion, Bollas, Cahn, Roussillon, Ogden, Bonaminio). Una serie di ricerche e elaborazioni volte a comprendere come diveniamo soggetti psichici, iniziatori di scambi intrapsichici e intersoggettivi in cui sono importanti le qualità intrinseche dell’oggetto ma anche le trajet, osserva Green, il come si arriva all’oggetto: quello che occorre è, un percorso, uno spazio-tempo nel quale il soggetto può divenire quello che non sapeva di poter diventare .
Il termine setting fu introdotto da Winnicott nel 1955, al XIX Congresso Internazionale di Ginevra, dove definì "situazione analitica" l'insieme di tutti i particolari che riguardano la conduzione dell'analisi, e poi divenne universalmente utilizzato da tutti gli psicoanalisti (Ferruta, 2013).
Winnicott ha indicato il setting come la situazione più semplice ed essenziale che consente la comunicazione tra inconsci, come avviene nello Squiggle, dove tutto quello che occorre sono due persone disponibili a un incontro e un foglio bianco e una matita che con i loro essenziali confini stabiliscono le condizioni perché si avvii un processo spontaneo.
Massimo Vigna Taglianti presenta un lavoro in cui clinica e teoria si intrecciano.
Si fa riferimento al ruolo della madre in rapporto al bambino in cui il contributo di Winnicott è innegabile. In altre parole l’affermazione, forte, there is not such a thing like a baby è la vera e propria scoperta; non esiste un individuo a sè stante ma solo un individuo in rapporto con il mondo esterno.
E’ la reazione dell’oggetto, un mirroring che trasmette piacere ( Ferenczi), la sua tolleranza, l’importanza per il bambino di sentirsi desiderato dalla propia madre ( Vallino) e di esistere per l’altro, la sua sopravvivenza, che sono fatidiche per l’esito dello sviluppo. Questo cambiamento di paradigma apre il campo all’osservazione di quelle esperienze relazionali in cui è prevalso il fallimento e il successivo crollo della sua posta in gioco : l’acquisizione di un senso dell’esistere.
Esperienze relazionali dominate dal vuoto che portano alla morte psichica dell’individuo in cui il senso dell’essere vivi si intreccia con la pulsione e l’istinto di morte. Quindi una pulsione di morte non piu’ innata ma un elemento intrapsichico. La non esistenza come difesa. La costruzione di una realtà condivisa in cui l’aggressività congelata diviene vitale.
Falci estende questa argomentazione sottolineando la fusione antropica etologica dell’ambiente che non ha a che fare con la materia ma con la cultura della madre: cio’ che conta è il modo in cui l’ambiente trasforma la natura biologica, laddove il mondo reale è un dato rivestito dalle pratiche madre-bambino. Si sta parlando di una cultura che fa emergere e declina la biologia.
L’autore mette l’accento sulla dimensione piu’ affettiva e in definitiva corporea. Il corpo è portatore di significati, un tessuto comunicazionale che non è astratto; lo sguardo della madre è il modo in cui madre e bambino comunicano sul corpo del bambino: sull’esserci.
L’attesa è di un mondo che si è già pronti a sperimentare.
Una diade già preparata per incontrarsi, in cui ognuno ha in sè i codici per leggere l’altro; tutte le procedure, le intercettazioni di comunicazione avvengono manipolando il bambino. Il corpo è lo strumento, non è agiren ma comunicazione in atto di cui l’emozione è il dato centrale.
Questo passaggio è trattato da Maria Adelaide Lupinacci quando riflette su come tutto abbia inizio dalle esperienze corporee, quel corpo a corpo tra madre e bambino che gradatamente diventa psiche. Ancora di piu’: una forma di esperienza di going on being che trasmette fluidità, agio, di piacere tranquillo. Ma l’autrice pensa che non si possa fare a meno di integrare il punto di vista di Winnicott con quello bioniano, e facendo notare come sulla teoria su infante e genitore le loro direzioni si separino, apre la strada ad un suo personale contraddittorio interno verso alcune teorizzazioni Winnicottiane.
Se Bion parte subito dalla relazione e non c’è parte della sua opera che non contempli che il bambino, dotato di qualità psichiche, sia pur potenziali, è all’interno della relazione che ne raggiunge l’attivazione, Winnicott sembra preoccupato e timoroso di fronte alla pulsione – dice l’autrice – come se il senso di esistere debba svilupparsi da solo, senza urti. E’ come se per il neonato fosse dannoso provare l’intensità del sentire. E poi perchè il contenimento materno dovrebbe rendersi “non apparente” e dare al bambino l’illusione di aver fatto da sè?
L’autrice teme che l’approccio Winnicottiano rischi di non dare un sufficiente contributo di capacità comunicativa del bambino sin dall’inizio, mentre al contrario riconosce al concetto di vero Sè un’importante e prezioso contributo capace di influenzare la nostra tecnica analitica nella direzione di un ascolto rispettoso.
Tra i contributi della sala Paola Marion ricorda, accanto all’holding, la funzione dell’handling, come la madre maneggia il bambino e come questa si differenzi dal concetto di funzione alfa ponendo al centro la corporeità. Parson aggiunge che il termine holding nella lingua inglese è un concetto che esprime una sensazione di staticità, che non ha bisogno di movimento, a differenza di handling che include un’attività non solo della madre ma anche dell’analista nella sua funzione di “ prendere in mano”. Campoli sottolinea come le relazioni abbiano offerto un materiale non ossificato ma vivo, e di conseguenza l’importanza della creatività . Riprende poi il tema della paura del crollo, recentemente riletto da Ogden (2015) per riflettere sull’ analista che guarda dentro sè stesso, alla follia, a come la paura del nostro crollo puo’ intersecarsi nel nostro lavoro.
Si conclude la mattinata che ha ampliato la comprensione sul tema della creatività e sulla necessità di non chiudere il pensiero ma continuamente di allargarlo. Se il soggetto va alla ricerca dell’oggetto è perchè ricerca un Sè creativo in relazione.
Nel pomeriggio Malde Vigneri introduce le relazioni di Vincenzo Bonaminio e Paolo Fabozzi
Bonaminio che presenta il lavoro “Winnicott clinico: le tappe di un percorso rivoluzionario nella tecnica psicoanalitica” una lavoro estremamente accurato e approfondito di cui in questo report riporterò solo alcuni tra i molti punti trattati.
Per rispondere alla querelle sull’origine temporale della comparsa dell’oggetto, se si stabilisce da subito o se come diceva Anna Freud ne dovremmo valutare la comparsa a partire degli 8 mesi – Bonaminio risponde come Winnicott non fosse interessato nel determinare la comparsa della relazione d’oggetto ma a quelle che sono le pre-condizioni. Nel parlare di ambiente facilitante non si parla infatti di madre reale, ma dell’elemento di trigger che puo’ determinare deviazioni dello sviluppo dal suo pieno corso.
L’autore si interroga poi sul concetto di depressione in Klein e Winnicott e ci presenta la questione dello spazio che l’analista è necessario che abbia per accogliere le parole, i pensieri, i problemi del paziente. Elementi che richiamano la focalizzazione diretta di Winnicott sull’essenza stessa della relazione analitica.
Il paziente che arriva in seduta rovescia lì tutto il suo mondo interno e stabilisce una relazione oggettuale, anche se per nuclei dell’Io. Che cosa il paziente depresso richiede al suo analista?
Richiede che abbia elaborato il suo lutto interno- la madre morta- solo così l’analista puo’ creare lo spazio interno per ricevere il paziente, uno spazio vuoto, che l’analista ha elaborato sul proprio oggetto interno morto. L’analista continuamente prosegue la sua elaborazione sulla paura del crollo, dice Bonaminio riprendendo l’intervento precedente di Campoli.
Cio’ che balza letteralmente agli occhi, intuisce Bonaminio, è lo stretto legame che Winnicott individua, fra lavoro psicoanalitico e lavoro dell’analista come suo peculiare sforzo per affrontare la propria depressione, e fra questi due “lavori” è la risposta dell’analista alla richiesta del paziente.
Questo lutto, che l’analista deve poter elaborare dentro di sè, significa per l’analista di fronte al paziente anche rivivificare quell’oggetto interno morto che è la stessa “madre depressa” dell’analista, per poter rivivere la depressione della madre-oggetto interno del paziente.
Winnicott è sin da subito interessato a comprendere in quali forme compare la depressione del paziente nell’assetto clinico psicoanalitico e in che modo l’analista puo’ farvi fronte. Un’asserzione sulla quale va posta una particolare attenzione sul piano della silenziosa rivoluzionaria tecnica di Winnicott- e che in forme semantiche diverse si deduce come sottotetto in piu’ passaggi dei saggi citati, fino a “ L’uso dell’oggetto” – e cioè è che la risposta dell’analista che fa la differenza nel modo in cui la depressione del paziente si sviluppa – dice Bonaminio- si trasforma e viene elaborata.
Paolo Fabozzi mette in evidenza la posizione dell’analista, un altro aspetto importante dell’apporto Winnicottiano, lo sguardo che l’analista pone sui suoi pazienti; un aspetto che costituisce senza dubbio uno degli insegamenti piu’ importanti che si possano ricavare dalla sua opera.
Come puo’ l’analista sostenere il paziente nella sua traiettoria per cominciare ad esistere se il paziente non ha fatto esperienza di quella continuità dell’essere propria del rapporto fusionale con l’oggetto e della fase dell’illusione? In che modo puo’ aiutare il paziente a recuperare quei luoghi della mente che sono andati perduti nel fallimento della relazione primaria?
L’autore riflette sulle conseguenze catastrofiche derivanti dal fallimento delle cure da parte dell’ambiente primario, quegli urti nelle fasi precoci dello sviluppo capaci di ostacolarne, deviarne il corso. Non poter essere è la conseguenza che all’individuo rimane sulla propria pelle dell’essere stato usurpato ab initio della possibilità di svilupparsi secondo i propri ritmi e bisogni.
Ma i luoghi della mente non vanno mai perduti- dice Fabozzi- ed è per questo che la persona non puo’ che muoversi sull’onda del non dover essere, un vivere sempre inseguiti dalla sensazione di poter spofondare nuovamente nelle angosce impensabili, in cui essere,essere integrati, assume il peso di una minaccia.
Dal punto di vista tecnico possiamo pensare che non toccare o avvicinare queste angosce impensabili, e rafforzare l’Io per scongiurare un nuovo crollo, possa essere sufficiente?
E’ l’analista deve lasciarsi collocare nell’area di fisiologica onnipotenza del paziente- dice Fabozzi- divenendo per quest’ultimo un oggetto soggettivo.
L’autore presenta un prezioso caso clinico dove è rintracciato, nel un transfert erotico di una paziente, il suo bisogno di incontrare l’altro, e che diventa tale nel momento in cui c’è un’analista che permette la creazione di uno spazio laddove non c’era.
Io penso che sia un lungo lavoro di analisi, lento, faticoso e impercettibile quello che l’analista deve compiere per far sì che il paziente possa lasciarsi andare alla regressione cosi’ come Fabozzi ce la descrive; andare incontro alle angosce piu’ profonde che silenziosamente hanno minacciato, sin dalle origini, il senso dell’esistere.
Claudio Neri conclude commentando questi passaggi di analista e paziente come un essersi trovati per affrontare il senso di inconsistenza e futilità, dare senso ed affetti alla vita, esistere. Neri ci dice come lui stesso intende – in senso intimo e personale- questa parola, riportando dei versi di Raffale La Capria:
“Ecco, adesso una stella è caduta, esprimo un desiderio: fà che io cada come te, lasciando dietro di me una piccola strisci luminosa, almeno nel ricordo di chi mi vuole bene. Fà che io cada come frutto maturo dall’albero, fà che la mia fine sia una conclusione e non un incidente...”
Esistere sia pure solo a momenti come una stella cadente ( in spagnolo si dice estrella fugaz), esistere per quelo che si puo’ sviluppando il proprio progetto vitale (fà che la mia fine sia una conclusione e non un incidente), esistere secondo i tempi del proprio corpo e quelli della natura (fà che io cada come frutto maturo dall’albero, esistere perchè si provano e si sono provati forti affetti e commoventi emozioni (lasciando una stria luminosa, almeno nel ricordo di chi mi vuole bene).