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Report di Laura Porzio Giusto sulla Giornata di studio "Nuovi percorsi in Psicoanalisi" (4 giugno 2016)

 

La verità conta in psicoanalisi? In che modo? E quale verità cerchiamo?

La questione, meglio declinabile al plurale (le verità), si sviluppa, nel corso della giornata, all’interno della matrice del pensiero bioniano, intorno ai temi del rapporto mente-corpo, della relazione analitica e dei contributi delle neuroscienze.

Howard B. Levine sembra subito attivare un clima in cui è proprio la capacità negativa di bioniana memoria ad accompagnare le nostre riflessioni.

È in questa atmosfera che ci propone la co-presenza di due tipi di verità in psicoanalisi. Le prime appartengono all’inconscio dinamico in cui un contenuto inaccettabile (desiderio, ricordo, esperienza, ecc.) viene rimosso e può essere recuperato, mentre le seconde hanno a che fare con l’inconscio non strutturato. Si tratta, in questo caso, di verità non ancora formulate, che emergono nell’incontro analitico.

Verità rivelate, verità emergenti. Interpretazione, co-costruzione di significati.

Levine ci ricorda che il passaggio dal recupero del rimosso allo sviluppo della capacità di pensare è già in nuce in Freud (Costruzioni in analisi, 1937) quando egli presagisce una dimensione più centrata sul processo analitico pur implicando ancora che la costruzione abbia lo scopo di portare alla coscienza esperienze, desideri o eventi realmente accaduti.

Con Bion avviene uno spostamento profondo. I dati veri della psiche non si raggiungono con i sensi, di cui invece si può avvalere il medico, bensì gli analisti devono utilizzare l’intuizione che è una qualità psichica, ineffabile, soggetta all’inconscio e alle sue distorsioni. La distinzione tra K e O, tra il conosciuto e il non conosciuto, implica che tra la percezione e le qualità psichiche vi sia uno spazio enigmatico. Esso può essere riempito con una gamma di ipotesi sempre più vasta che, pur avvicinandosi alla verità, non può mai coglierla totalmente. I significati proposti dipenderanno dal contesto relazionale e dalle dinamiche delle loro costruzioni.

Paziente e analista tessono avanti e indietro i due tipi di verità, creando una stoffa che costituisce la base per il racconto su cui possono emergere significati personali. È in uno spazio aperto, luogo metaforico (“la situazione epistemologica fondamentale”) che può avvenire questa costruzione co-creativa costante a fianco del lavoro archeologico di scoprire elementi rimossi. I due processi procedono come in una spirale, cuore dello sviluppo psichico e del processo terapeutico. Come ci ha detto Bion (1979) l’analisi può solo fare il meglio possibile di un lavoro difficile. Sembra che il nostro compito sia quello di stare in piedi su un terreno che oscilla e che si sposta in continuazione.

Anna Nicolò osserva come questa costruzione condivisa abbia una profonda relazione con i temi della creatività, del piacere, del giocare, dell’essere vivo e sveglio di Winnicott. E pone una domanda che ci accompagnerà nel corso della giornata: come dovrebbe cambiare, alla luce di queste considerazioni, la formazione degli analisti?

Il contributo di Riccardo Lombardi cerca di avvicinare la O di Bion al rapporto corpo-mente.

Attraverso un caso clinico ci mostra come il paziente possa costruire, a partire da livelli sensoriali e asimbolici, l’esperienza soggettiva del proprio corpo. Questa costruzione può essere premessa per poter accedere ad una pensabilità.

In questo processo entrano in gioco anche il corpo dell’analista, i suoi sogni di contro-transfert, la sua disponibilità ad evolvere verso una O personale che corrisponda alla O del paziente.

La relazione analitica è al centro del lavoro di Angelo Macchia. Il complesso intreccio delle dinamiche di transfert e contro-transfert si dispiega in aree dell’esperienza psichica che si riferiscono ad un periodo pre-verbale, al di qua della rappresentazione, in quel territorio che Levine ha indicato come inconscio non strutturato, costituito da pensieri mai formulati, da verità emergenti.

Come accostarsi a queste aree della mente? Come trattarle?

Macchia ci conduce nelle pieghe di un trattamento dove l’analista è impegnato in un profondo e faticoso lavoro sul processo della relazione analitica, con particolare attenzione al proprio contro-transfert in rapporto a quelle aree della mente del paziente in cui prevale la dissociazione tra un affetto e una rappresentazione che ancora non c’è stata. Si tratta di co-costruire e dar voce a pensieri, esperienze, affetti non ancora formulati.

Carole Beebe Tarantelli ci parla di traumi precoci, pre o immediatamente post-natali, che risultano ineffabili, extratemporali e irrappresentabili. Memorie di cui non si ha ricordo. Come penetrare le angosce relative al trauma senza proporre un’interpretazione prematura di cui il paziente si approprierebbe senza esserne emotivamente coinvolto? Tarantelli ci offre il racconto di un’analisi in cui la coppia analitica riesce a significare un terrore presente in virtù di un’esperienza traumatica primitiva, non ricordata. La creazione di senso consente di dar forma a emozioni, prima confuse e dilaganti.

La discussione, aperta da Anna Nicolò, inizia ponendo alcuni interrogativi: quale analista per questo modello di lavoro? Come fa l’analista, per esempio nei sogni definiti di contro-transfert, a distinguere ciò che emerge dalla coppia analitica o da un altro tipo di materiale? Possiamo ancora parlare di contro-transfert o il prefisso contro appare per certi versi assurdo?

Ci troviamo di fronte a una concezione più allargata del funzionamento della coppia analitica in cui occorre cambiare parametri e vertici di osservazione.

Sembra importante riuscire a tenere insieme i due tipi di verità, l’unione sprigiona forza, mentre la scissione libera energia. Arrivare a una co-creazione di una verità emergente oggi nel qui ed ora ci apre al futuro in cui tutto è sepolto. L’inconscio non strutturato e la possibilità di co-creare verità non ancora formulate comunica speranza, accentua possibilità evolutive che dipendono da noi oggi. Qual è allora la forma che il passato prende nella costruzione condivisa di queste verità emergenti? Stiamo parlando di come costruire un nucleo di personalità che ancora non c’è?

Questa co-costruzione ci riporta alle ricerche che mostrano che madre e bambino sono entrambi agenti nel creare la mente dell’altro. Quanto questo concetto fa parte del nostro modo di lavorare? E quanto invece ci sentiamo coloro che digeriscono, analizzano il proprio contro-transfert o interpretano?

Le verità hanno bisogno di trovarsi espresse e incarnate in una relazione. È una faccenda relazionale, in cui il registro più tradizionale (verità ricostruite) si intreccia con l’esperienza nel qui ed ora.

Sentiamo continuamente di oscillare tra questi stati somatici, magmatici, non ancora rappresentati e realtà già esistenti, da scoprire.

Levine, invitato a intervenire in merito alle diverse sollecitazioni, dice che la cosa peggiore che potrebbe fare sarebbe quella di rispondere in modo definitivo. Il ruolo dell’analista è quello di gettare un sasso nell’acqua e lasciare che si formino cerchi concentrici. I diversi commenti vanno in estensione, in accordo, in contrasto. Occorre lasciarli procedere. Quando si parla insieme di psicoanalisi, appena arriva una posizione immediatamente giunge quella opposta. È molto pericoloso fermarsi su una sola. Tra i maggiori contributi di Bion vi è il concetto della continua oscillazione (doppia freccia) tra posizioni e poli opposti. Per esempio l’oscillazione tra passato e presente è relativa al capire che cosa è stato traumatico nel passato e la possibilità di immergerci nel presente. Dove collocare, dunque, l’evento? Nel passato o nel presente? Secondo Levine questa è una domanda a cui non possiamo rispondere. Alcuni colleghi sostengono la necessità di concentrarsi sul presente, mettendo il passato in secondo piano, altri invece di considerare le basi, ciò che è stato, per poter co-costruire, nel presente, verità emergenti e narrazioni.

Il tema relativo a come formare gli analisti alla creatività riporta Levine ad una domanda che girava frequentemente durante gli anni della sua formazione: dov’è il complesso di Edipo? A questa domanda, ci dice, andrebbe sostituita: dov’è il paziente? Occorre attingere a nuove idee e considerare le divergenze tra noi in modo molto serio, portando avanti il nostro lavoro ascoltandoci reciprocamente.

La questione del contro-transfert può essere vista da prospettive diverse: i problemi che il paziente pone all’analista oppure la dimensione comunicativa dell’identificazione proiettiva o ancora l’asimmetria delle esperienze nell’incontro tra due menti.

Il lavoro di Alessandro Bruni conclude la giornata aprendo, a partire da alcune immagini, uno spazio di pensiero sulla nostra rappresentazione finzionale del mondo: il velo di Maya. Siamo nel regno del metaforico che ritroviamo nella caverna di Platone. Metafora significa trasporto e porta con sé il tema della dialettica degli opposti emerso esperienzialmente nel corso della discussione. Spazio e tempo. Corpo e mente. Sincronia e diacronia. Creatività e rigore.

Il richiamo è a ciò che le dottrine antiche possono offrirci al fine di scoprire conoscenze sepolte nel passato. Ma il lavoro di Bruni mostra altresì il contributo che la teoria del pensiero di Bion può offrire alle neuroscienze.

Il campo mentale, secondo Bion, non può essere contenuto in cornici di teorie psicoanalitiche e in definizioni permanenti. La psicoanalisi non è infatti un contenitore, ma una sonda.

Potremmo forse dire che, compito della coppia analitica, sia di sondare le plurime verità già esistenti o emergenti, stando in piedi, là dove è il paziente, su un terreno in continua oscillazione?

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