Sabato, Aprile 26, 2025

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intervista dr. P. Lussana

Intervista al Dott. Pierandrea Lussana (L) sulla storia del Centro di Psicoanalisi Romano e sulla storia delle idee dello stesso, da parte della dott.ssa Adelaide Lupinacci (A.L.) (2006)

A.L. Volevo chiederti i tuoi ricordi intorno a Nicola Perrotti e quali rapporti hai avuto con lui all’epoca.

L. A questo devo arrivare a partire dalla mia analisi con Emilio Servadio che mi portò a frequentare l’Istituto di Training che faceva capo a lui. Quando ebbi deciso che avrei seguito il mio training a Londra, quello di psicoanalisi infantile del gruppo kleiniano, lì già si trovava Adda Corti; mi fu suggerito di incontrare e salutare prima della partenza Tomasi Di Palma, allora presidente della Società, e Nicola Perrotti, al quale faceva capo l’altro Istituto. Mi parve un uomo di forti opinioni, in generale molto interessato alle idee. Nell’Istituto partecipai ad un seminario sul sogno tenuto da Claudio Modigliani, ma le mie iniziali simpatie kleiniane mi portarono ad avere contatto con i principali collaboratori al fine di avere una visione panoramica. Tra questi, la Garinger era probabilmente la più sensibile a queste idee, ma non l’unica interessata.

A.L. Quando sei andato e quando sei tornato da Londra, in quale periodo sei stato fuori?

L. Nel 1960 iniziai lì subito la mia analisi di Training e, poco dopo, i corsi all’Istituto di Psicoanalisi per gli adulti. Verso la fine di questi iniziai il Training in Psicoanalisi dei bambini che comprendeva l’analisi di tre casi: un bambino piccolo, uno in età di latenza e uno in adolescenza. E’ da far rilevare che in quegli anni divenire analista in generale e analista dei bambini era su una base esclusivamente clinica; non erano richiesti particolari lavori, ma un semplice aggiornamento semestrale o annuale del progresso dei casi. Il Training si prolungò complessivamente per nove anni.

A.L. Quindi, sei tornato alla fine degli anni ’60.

L. Tornai alla fine degli anni ’60 all’Istituto che faceva capo ad E. Servadio, che era quello che mi aveva indirizzato a Londra, e attraverso lui avevo avuto gli iniziali contatti, prima di iniziare il Training con Melanie Klein, Anna Freud e Winnicott. Dopo alcuni anni di permanenza nell’Istituto decisi che per lo sviluppo del mio lavoro nell’area kleiniana e in particolare nell’analisi dei bambini era opportuno, anzi era saggio che io mi trasferissi all’altro Istituto per una collaborazione più stretta con Adda Corti e con altri analisti come Garinger ed altri ancora.

A.L. C’era anche Bartoleschi che si interessava di bambini, o non proprio?

L. Sì. L’inizio la psicoanalisi dei bambini a Roma ebbe due matrici: la prima può essere considerata proprio quella di Benedetto Bartoleschi, la cui formazione era avvenuta a Parigi nella scuola di Lebovici; l’altra quella di Adda Corti, che si trasferì a Londra e rimase lì per vari anni, sviluppando appieno la sua esperienza e la sua conoscenza dell’analisi dei bambini.

A.L. Comunque, a me sembra che in quegli anni, nel nostro Centro, le idee di M. Klein avessero molta eco, trovassero parecchio interesse; tu cosa ricordi in tal senso?

L. In tutti gli anni ’70 e buona parte degli anni ’80, le richieste di analisi kleiniane, o meglio di un diverso tipo di analisi che si chiamava kleiniana fu molto intensa, non solo a livello di analisi dei bambini, ma anche degli adulti. Vennero diversi esponenti a Roma: Meltzer, Martha Harris, Rosenfeld, Hanne Segal, Bion, Betty Joseph. E più avanti Brenman e la Bick. Negli anni ’90 J. Steiner. Quindi, veramente una richiesta di questa analisi, più intensa e più rigorosa, se così si può chiamare, è stata per parecchi anni significativa. Poi, negli anni ’90 si è cominciata a diradare, ma non a mancare.

A.L. Io ricordo un periodo molto felice, in cui l’interesse per i primi anni dello sviluppo aveva portato un tuo gruppo sull’osservazione della madre e del bambino, durato a lungo, ad essere molto fecondo. Non so se hai qualcosa da dire su questo anche a proposito della formazione.

L. Sì, l’osservazione della madre e del bambino è partita dall’idea sulle esperienze di Bick, e anche in Italia prese piede e ci fu molta partecipazione. Così anch’io condussi qualche seminario per l’inizio del training di formazione degli allievi, ma passò dagli Istituti di Psicoanalisi alle scuole di psicoterapia psicoanalitica infantile. Perché questo sia avvenuto non è facile dire, però si può dire che non è solo un fenomeno italiano. Nella stessa Londra lo sviluppo dell’analisi infantile nella Società di Psicoanalisi rispetto agli anni in cui c’era M. Klein ed Anna Freud si è rarefatto ed è avvenuto molto di più negli Istituti o scuole dipsicoterapia infantile. Ci sono anche, probabilmente, delle ragioni pratiche: la lunghezza e il costo del doppio training non aiutava. Nella Società Italiana di Psicoanalisi è avvenuta con un certo ritardo, il perché è una questione aperta.

A.L. Qual è secondo te il contributo che il nostro Centro ha dato alla costituzione del Training Infantile, sia pure in ritardo?

L. Certamente il lavoro personale di Adda Corti, come il lavoro di altri.

A.L. Anche il tuo…

L. Certamente, portare l’esperienza fresca, diretta, un “trapianto” da Londra a Roma deve essere servito a qualcosa, testimoniato dal fatto che molti colleghi hanno preso interesse all’analisi di bambini e degli adolescenti. Oggi si distinguono opportunamente le analisi degli uni da quelle degli altri perché ci sono notevole diffusione ed aspetti che sono propri dell’una ed altri propri dell’altra. E sono a loro volta distinti da quelli degli adulti.

A.L. Ci sono stati analisti di altri paesi che hanno scelto di lavorare a Roma ed in particolare nel nostro Centro.

L. Ignacio Matte Blanco e Luciana Bon de Matte arrivarono a Roma dal Cile poco dopo la metà degli anni ’60. Una diecina di anni più tardi venne Armando Ferrari da San Paolo del Brasile, anche egli per ricreare a Roma le sue attività psicoanalitiche. Entrambi hanno prodotto a Roma i libri più importanti e innovativi. Anche la ricerca di Matte Blanco si situa nella tradizione psicoanalitica. Il concetto di Freud, l’inconscio, viene ampliato nelle sue caratteristiche e approfondito. Così anche per i concetti di proiezione, introiezione ed emozione secondo M. Klein e quello dell’ultimo Bion di stato pre-natale. La vita mentale, per M. Blanco, consiste nel complessivo intreccio, stratificato, tra modi divisi asimmetrici e modi indivisi simmetrici. Questi modi operanti dal conscio al più profondo inconscio combinano l’asimmetrico e il simmetrico simultaneamente, alternativamente, tridimensionalmente e perfino multi-dimensionalmente. Che l’identificazione proiettiva, o la proiezione e disconoscimento, o uno degli aspetti di esse, distinto da Matte Bianco, avvenga ai livelli più superficiali dell’inconscio, può dare un’idea delle concezione spaziale dell’autore. L’inconscio e l’esperienza emozionale sono visti rispettivamente come il padre e la madre del pensiero. L’oggetto interno è concepito come sottostruttura del sé. Delle idee di Matte Bianco questo è solo un piccolissimo saggio. Per quanto riguarda la concezione di Ferrari, al centro sembra essere il rapporto verticale primario mente-corpo al quale si accompagna quello orizzontale primario madre-bambino. Il rapporto corpo-mente precede l’introiezione sull’oggetto materno ed è alla base dell’identità. Quanto all’invidia, è principio organizzativo simile all’identificazione. Sembra trovarsi di fronte, con il corpo come principale oggetto e l’invidia come principio organizzativo, ad un imprevedibile rovesciamento di prospettiva.In adolescenza il rapporto corpo-mente è specialmente in termini in conflittualità. Una concezione originale ardita, suscitata da familiarità con disturbi psicosomatici o somatopsichici, ci direbbe Bion, e i disturbi dell’adolescenza. L’invidia come fattore di integrazione… esattamente l’opposto, dunque. Anche Bion, leggendo il terzo volume della Memoria del Futuro, dice che la mente deriva dal corpo. Se la mente deriva dal corpo, evidentemente dal cervello, come può il corpo essere il principale oggetto della mente? Ameno che non ci sia di mezzo un’idea filosofica molto sottile che possa spiegarla. Lapsicoanalisi non è filosofia, è le idee psicoanalitiche che vengono fuori dalla clinica.

A.L. Al Centro di Roma hanno gravitato colleghi siciliani, Corrao, sempre in contatto tramite l’Istituto con Roma, anche prima che si formasse il Centro di Palermo. Non so se hai qualcosa da dire su questo?

L. Quasi tutti gli analisti siciliani sono stati in analisi con Corrao. Ne viene che sono cresciuti come i rami dell’albero Corrao; l’insieme non è uniforme ma omogeneo, slanciato e proteso e potrebbe anche essere chiamato “scuola siciliana”. Un insieme molto colto e coltivato, che ha le radici culturali più profonde come la Sicilia spesso ha. Mobile anche per necessità di tirocinio, non può prescindere dalla linea Melanie Klein-Bion, a partire dal Bion dei gruppi, ma va oltre, molto oltre. Corrao stesso era dotato di strumenti culturali acuminati ed animato dal bisogno continuo di esplorazione clinica e di garanzia e verifica teorica. Orme è stata chiamata la raccolta dei suoi scritti, titolo che parla di un percorso molto aperto da perseguire verso l’ignoto. Non mi sembra si sia molto modificata un’ascendenza bioniana consapevole dei punti di partenza kleiniani, lungo gli anni, che hanno visto al Centro di Roma variazioni ed oscillazioni nella composizione e nell’orientamento di gruppi e sottogruppi. Viene subito in mente un libro, Fusionalità e i cinque autori: Pallier, Neri, Petacchi, Tagliacozzo, Soavi. Gli ultimi due eredi diretti di Nicola Perrotti e Garinger, colonne portanti del Centro. Neri con amplio interesse nei gruppi e relative pubblicazioni. Molti altri libri sono stati scritti da soci, ma è difficile per me precisare idee in circolazione e, di più, correnti d’appartenenza. Credo probabile che la maggioranza dei soci si senta se non winnicottiana, certo vicina a Winnicott. Un certo numero, a cominciare da Soavi, segue le idee di Kohut; almeno altrettanti condividono le idee di autori nord-americani. Certamente altri seguono idee e correnti che mi sfuggono. Il seguito che hanno le idee di Matte Blanco e di Ferrari deve essere convinto ma limitato numericamente. Quanto alle idee kleiniane, spesso ora accresciute e più che modernizzate da quelle bioniane, non credo che siamo in molti a seguirle.

A.L. A Roma ci sono due centri e due istituti di training. A Milano uno soltanto. Cosa ne pensi, come mai?

L. Sarei portato a dire che i due centri e i due istituti derivano da due tribù che, come tali, non sono unificabili come due gruppi di studio. Se il termine tribù non piace possiamo parlare di gruppo ad assunto di base di attacco e fuga in irrinunciabile, orgogliosa posizione autonoma. L’origine tribale va molto indietro nel tempo ma radicata nell’inconscio ed è poco soggetta amutamenti. Conclusioni: negli ultimi trent’anni deve essere cambiato molto nella vita, nella formazione del Centro e nella professione psicoanalitica. Io tendo ad accorgermene poco o almeno non abbastanza. Si cerca di far cambiare le cose in meglio (non si può che cercare di farle cambiare in meglio). Ma non è affatto detto che ci si riesca. Talvolta sembra che si debba a tutti i costi cambiare, per la nostra autostima, per la fede nel progresso, perché noi riusciamo a vedere cose che i nostri predecessori non vedevano. E se risultasse che abbiamo cambiato in peggio, ma non possiamo, non vogliamo, non dobbiamo accorgercene? La professione deve fare i conti con la crescente concorrenza delle crescenti società di psicoterapia a cui spesso si rivolgono classi nuove. La società tecnologica e spettacolare in cui viviamo va in direzione opposta all’umanesimo della psicoanalisi. Una frase ad effetto: come può l’uomo non avvicinarsi all’umanesimo di cui la psicoanalisi è la versione, o dimensione, terapeutica?

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