Intervista alla dott.ssa Tonia Cancrini da parte della dott.ssa Emanuela Quagliata (2006).
Q: Come ricordi la figura di Nicola Perrotti?
C: Ricordo che feci il mio primo colloquio con Nicola Perrotti per entrare alla SPI. Ricordo una persona molto arguta e intelligente e ricordo come cosa simpatica e divertente che lui mi fece subito i complimenti per una recensione che io avevo fatto a Franco Fornari. Si vedeva che era palesemente contento del fatto che io, pur apprezzando molto il libro “Nuove vie della psicoanalisi”, fossi anche un po' critica nei confronti di Fornari. Forse era un po' di simpatico campanilismo! Poi non ebbi più molte occasioni di frequentarlo; ricordo solo un incontro al Congresso Internazionale che si tenne a Roma. Fu lui a permettermi di seguire il Congresso anche se io non ero ancora allieva ufficiale della SPI. Altra cosa che mi colpisce ripensando a Nicola Perrotti è che, presentando il mio libro “Un tempo per il dolore” a Pescara, alcuni presenti hanno letto dei brani dagli scritti di Perrotti e abbiamo tutti notato una grande risonanza con i temi che io ho maggiormente approfondito, come quello del controtransfert, della persona dell’analista, della distruttività ecc. Ciò mi ha colpito molto perché mi ha fatto pensare che, anche se a volte inconsapevolmente, ci sono delle matrici comuni di pensiero che ritornano e c'è evidentemente una storia del nostro Centro molto più antica e profonda di quanto a volte non pensiamo.
Q: Pensando alle affinità con i membri del Centro, a quali ti sei sentita particolarmente vicina?
C: Le persone con cui ho avuto un legame particolarmente forte sono sicuramente Benedetto Bartoleschi, che è stato il mio analista, e poi Roberto Tagliacozzo e Adda Corti. Questo per parlare solo dei maestri perché potrei ovviamente parlare di tanti altri colleghi miei coetanei o più giovani con cui c'è stato e c'è un legame molto forte di interessi, di passioni comuni e di collaborazione.
Q: Vuoi dirmi qualcosa in particolare del modo in cui sei stata influenzata dal rapporto con loro e con le loro idee?
C: Di Bartoleschi ricordo soprattutto la capacità di essere psicoanalista unendo la serietà e il rigore nel rapporto analitico a una grande umanità. L'analisi con lui mi ha certamente molto aiutata nella mia vita e nel mio lavoro. Era una persona veramente squisita, umana, attenta, molto presente nell’analisi. Ricordo poi nel periodo successivo all’analisi una profonda e feconda collaborazione soprattutto per quanto riguardava la psicoanalisi infantile. Abbiamo avuto dei momenti di grande vicinanza e di interessi condivisi. E oltre a questo una grande amicizia e passioni in comune come quella per i cavalli. Di Adda Corti, con cui ho fatto una lunga supervisione, ricordo la straordinaria sensibilità clinica, e l’enorme capacità di contatto che aveva con le emozioni del paziente. Adda era una persona complessa, e a momenti difficile. Ma il rapporto con lei è stato per me un'esperienza straordinaria per tutto quello che mi ha insegnato e per il calore e l'entusiasmo che mi ha comunicato. Per lei era fondamentale il contatto con il paziente e l'adesione nel transfert ai livelli più profondi dell'affettività. Quei livelli primitivi a cui, lo ripeteva sempre, si può arrivare più facilmente se si sono potuti vivere e sperimentare nell'analisi con i bambini. Anche con Tagliacozzo il rapporto è stato molto importante. Ho cominciato con una supervisione, la mia prima supervisione. Ne ho un ricordo bellissimo; lavorare con Roberto era veramente un’esperienza significativa, perché era molto presente e nello stesso tempo capace di riconoscere una grande libertà alla persona con cui entrava in contatto, e questo rendeva possibile di fare un’esperienza di conoscenza, di approfondimento ma anche di libertà. Poi con Roberto abbiamo avuto in comune seminari, scambi di opinioni, collaborazioni per “Psiche” e anche durante la sua presidenza momenti di dialogo e di confronto. Ne ho un ricordo veramente straordinario: una persona molto bella e appassionatissima della psicoanalisi. Devo dire che la sua perdita è stata terribile per tutta la Società psicoanalitica e, in particolare ha condizionato la vita del Centro di psicoanalisi romano per molti anni.
Q: Ho ritrovato in un articolo su "Psiche" del '64 un interessante contributo di Nicola
Perrotti dal titolo “La personalità dello psicoanalista”, nel quale, tra l’altro, scrive: “Agli inizi della nostra attività scientifica qualificarsi psicoanalista significava già schierarsi contro il conformismo a tutti i livelli, con le conseguenze che questa posizione comportava. La psicoanalisi aveva la funzione di rompere con le idee imperanti in psichiatria, morale, politica etc. In quell’epoca ci si avvicinava alla psicoanalisi per amore del sapere, per combattere una battaglia, non certo per esercitare una professione lucrosa. Quelli che volevano diventare psicoanalisti, pertanto, erano non sempre medici, i medici e gli psichiatri già consolidati sono sempre stati più resistenti ad accettare le nuove idee, ma tutte le persone entusiaste e disposte a studiare, a fare sacrifici per acquistare un’esperienza necessaria.”
Q: Volevo chiederti un tuo commento su queste riflessioni: quale ritieni possa essere oggi la funzione della psicoanalisi? E qual’ è la tua opinione sul cambiamento avvenuto in seguito alla riforma che ha limitato l’accesso a questa professione solo a medici e psicologi?
C: Io credo che l’epoca di cui parla Perrotti sia l’epoca dei pionieri, in cui certamente il pensiero psicoanalitico era molto nuovo, e ci voleva molto coraggio a portare avanti idee così diverse e non conformiste. Penso che però anche adesso rimanga questa funzione critica e a volte dirompente del pensiero psicoanalitico, anche se, ovviamente, c’è uno spazio maggiore, più riconosciuto, e quindi questo rende in qualche modo le cose più facili, più semplici. Riguardo alla questione degli psicologi e dei medici, quello che per la SPI e per il mondo psicoanalitico, è derivato dalla legge, che vieta a chi non è psicologo o medico dipoter essere psicoterapeuta, è sicuramente un impoverimento. C’era stato precedentemente alla legge, un grande afflusso nella società di filosofi, biologi, letterati; ricordo persino architetti; cioè da qualsiasi facoltà si poteva accedere alla SPI, e ciò secondo me aveva apportato un grande arricchimento culturale, perché queste provenienze diverse erano molto stimolanti. In questo momento uno dei problemi che noi abbiamo con i giovani allievi è, a volte, lo scarso livello culturale.
Q: A proposito di contrasti, come si è trovato il nostro Centro nel grande sommovimento culturale del 1968? Come ricordi le figure e le vicende legate a Fagioli e a Armando?
C: Certamente il '68 ha provocato dappertutto un grande sommovimento, quindi anche la SPI ne ha risentito. Per quel che ne so, ma non ne ho ricordi diretti perché ancora non ero entrata nella Società, avevo l’impressione che ci fosse una grande spinta a portare avanti all’interno della SPI delle tematiche legate al sociale. Questo è risultato particolarmente arduo e difficile. Forse è stato anche proposto a volte in modo non troppo costruttivo, per cui ne sono venute fuori tante polemiche e forse poche proposte positive e realizzabili. Tu ricordi in particolare Fagioli e Armando. Certamente in quel caso ci sono stati momenti di grande polemica nella SPI, perchè la spinta teorica e mentale che propugnavano portava con sé un’accentuazione della critica al pensiero psicoanalitico e alla Società così com’era, a volte acuta, ma a volte anche violenta e forse distruttiva. Questo ha sollecitato critiche dure e io credo che, a un certo punto, le posizioni si sono irrigidite da entrambe le parti e questo ha incrementato i problemi che venivano fuori da tutto ciò.
Q: Francesco Corrao è stata certamente una personalità di spicco del Centro; che importanza ritieni abbia avuto ?
C: Anche qui non ho un’esperienza diretta perché non c’ero. Da quel che so Corrao ha cercato di essere in contatto, di creare un dialogo con i vari Armando, Fagioli, Sassanelli, Vetrone ecc.; dopodiché credo che anche da parte sua ci sia stato un irrigidimento e a un certo punto si è determinata un’incomprensione fra questi giovani che volevano degli aspetti innovativi nel pensiero psicoanalitico e la vecchia guardia. Credo ci siano state delle grosse incomprensioni da entrambe le parti. Lo scontro poi è stato molto duro, forse troppo duro.
Q: Tra gli psicoanalisti di altre nazionalità che hanno frequentato il nostro Centro in quel periodo, quali ritieni abbiano avuto maggiore influenza sulla tua formazione e sugli altri colleghi del Centro?
C: Io ricordo in particolare Rosenfeld, che ha avuto una forte influenza soprattutto sul piano clinico. Venne molte volte in Italia, prima a Lungotevere delle Navi, poi nel nostro Centro in modo continuo; e si è creato così uno scambio molto intenso. Rosenfeld ha portato un modo di lavorare così vicino al paziente, attento alle emozioni profonde, così in contatto con gli aspetti più problematici dei pazienti psicotici e borderline, che ha certamente introdotto una modalità nuova e affascinante di porsi con i pazienti. Anchela Segal, con cui però il rapporto è stato meno continuativo, ha lasciato comunque delle suggestioni molto forti. Poi Bion, certamente, è entrato a un certo punto nel nostro Centro in modo deciso. Di lui però ricordo più l’importanza dei suoi scritti, delle sue idee, che non la sua presenza. Un paio di volte è venuto ed è stato molto interessante, però è sicuramente il suo pensiero che è arrivato con forza nel Centro.
Q: Quindi soprattutto analisti della scuola inglese.. Ce ne sono altri che vuoi ricordare?
C: Negli anni che tu mi hai detto non ricordo altri oltre a quelli della scuola inglese. Ci fu anche Betty Joseph, e negli anni immediatamente seguenti Bremann e la Bremann Pick, ma l’origine era sempre la stessa. In anni successivi poi, ma nell’altro Centro, non nel nostro, c’è stato Andrée Green qualche volta. Negli anni in cui sono stata Segretario Scientifico ricordo la venuta di Anna Alvarez, che pure ha portato una ventata molto positiva, costruttiva e interessante sul piano teorico e clinico.
Q: Alcuni analisti italiani sono tornati dall’estero dopo avervi compiuto la propria formazione. Quale pensi sia la ragione e con quali di questi tu hai avuto rapporti significativi?
C: Certamente da quel che so Perrotti deve aver spinto in questa direzione, ma lo so per sentito dire più che per diretta esperienza; altri lo potranno confermare meglio di me. Penso che la Corti quando è andata in Inghilterra era stata incoraggiata da Nicola Perrotti. Ricordo il ritorno della Corti da Londra. Certamente il ritorno della Corti è stato un momento importantissimo per la psicoanalisi italiana e per il nostro Centro perché ha portato questa grande suggestione del modo di lavorare dei kleiniani. Molti degli analisti di allora, i più impegnati, a partire, credo, dalla Gairinger, che pure era più anzianadella Corti, andavano a fare supervisioni con lei e si confrontavano col suo modo dilavorare. Anche noi allievi la seguivamo molto e lavorare con lei è stata quindi per tutti un’esperienza importante. E oltre alla Corti è arrivato a un certo punto anche Lussana che ha portato molti apporti teorici sul pensiero kleiniano e bioniano. Io l'ho molto seguito, facendo con lui una supervisione di un bambino e diversi seminari. Anche questa esperienza è stata perme molto importante e formativa.
Q: Nel 1976, in una comunicazione ai soci, Adda Corti, che allora era Segretario Scientifico del Centro di Psicoanalisi di Roma e della SPI, scriveva così: “I giovani analisti facciano almeno un’esperienza di analisi infantile in supervisione, di gruppi di osservazione di bambini, di partecipazione a seminari e gruppi di discussione di casi etc., perché la psicoanalisi non può ignorare gli arricchimenti che vengono dal lavoro con i bambini, che non può parlarne senza farne esperienza, e che in modo diretto faciliterà l’approfondimento del lavoro analitico, evitando il rischio dell’intellettualizzazione.” Vorrei sapere da te quale importanza pensi abbia ricoperto inizialmente la psicoanalisi infantile nel training degli adulti.
C: Si. Io ricordo benissimo questa posizione di Adda Corti; lei sosteneva con vigore che l’analisi infantile era molto importante anche nel training degli adulti, e ci spingeva tutti, noi che la seguivamo con grande passione, a prendere un bambino in analisi per fare questa esperienza, e a seguire seminari di osservazione del bambino, la baby observation, che appunto veniva portata in Italia dall’esperienza di Londra. Ricordo che infatti proprio seguendo lei e questo suo suggerimento presi durante il mio training un bambino autistico in analisi e lo seguii per un paio d’anni; fu per me un’esperienza significativa e importante. Seguii poi un seminario sulla baby observation e lo ricordo come veramente interessante e stimolante. Lo conduceva Lussana eall'inizio eravamo in tre Bonfiglio, la Lupinacci e io, e tutti e tre facevamo un'osservazione; ma poi l'anno successivo si unirono a noi molti altri colleghi. Credo che la Corti avesse perfettamente ragione nel sottolineare quanto queste esperienze con i bambini - sia la baby observation che l'analisi di un bambino - abbiano un'importanzastraordinaria nel training degli adulti. Penso che fare esperienza con i bambini dia una sensibilità particolare e un'attenzione ai livelli più precoci e primitivi che altrimenti è difficile poter acquisire.
Q: Come e quando è nata l’esigenza di una formazione in psicoanalisi infantile e quali sono le persone che hanno contribuito alla sua realizzazione?
C: La passione per l’analisi infantile e quindi anche l’esigenza che ci fosse una formazione anche all’interno della SPI è stata sempre sentita anche dai primi pionieridel nostro Centro; in particolare Bartoleschi ha sempre molto insistito in questa direzione: Quando poi sono tornati la Corti e Lussana dall’Inghilterra c’è stato uno stimolo maggiore in questo senso. La cosa è stata complicata dal fatto che nel frattempo c’erano una serie di attività sull’infanzia che si svolgevano fuori; sono nate delle scuole e spesso i nostri analisti hanno collaborato con queste scuole fuori dalla SPI. E' negli ultimi anni che sempre di più si è sentita l’esigenza che questa formazione, proprio per quanto riguarda la psicoanalisi dei bambini, fosse riportata all’interno della SPI.
Q: Ricordando gli analisti che sono venuti a lavorare in Italia dall’estero penso in particolare alla figura di Matte Blanco e mi domando come sono state accolte le sue posizioni originali al Centro. Hai un ricordo di questo?
C: Certamente. Ho un ricordo di Matte Blanco come di una persona di grande intelligenza, estremamente stimolante nei suoi pensieri. Per quanto riguarda l'accoglienza che gli è stata riservata, c'era nei suoi confronti un grande affetto e molta stima, non c'era però molta propensione da parte degli analisti del Centro, a seguirlo nelle sue elucubrazioni logico-matematiche. Di questo lui si dispiaceva un po’. Io ricordo che mi capitò più volte di organizzare delle iniziative con filosofi, filosofi della scienza, per discutere le sue idee perché lui era dispiaciuto che gli analisti più importanti del Centro non avessero questa disponibilità. Venne lui alla Facoltà di Filosofia dove io insegnavo e dove organizzai un suo seminario con filosofi; ricordo poi una riunione con Calogero a casa mia dove si discusse approfonditamente di tutte le sue idee. Al Centro invece ricordo una certa diffidenza, salvo poi un numero di persone che sono diventate suoi allievi e l’hanno seguito, con cui ha instaurato un dialogo che è continuato nel tempo; però questo con persone più giovani, non con gli anziani più importanti del Centro.
Q: Volevo ora chiederti cosa pensi che sia cambiato principalmente nella vita del Centro dagli anni ’70 ad oggi.
C: Penso che siano cambiate molte cose, anche se un certo spirito del Centro può essere stato conservato; innanzitutto siamo tanti di più, e questo significa che sono rappresentate nel Centro molte tendenze culturali diverse, mentre prima c’erano sì delle posizioni differenti, ma erano comunque più limitate, mentre adesso sono intervenuti molti altri orientamenti. Quindi c’è un arricchimento di punti di vista, ma forse una maggiore dispersione.
Q: E nella formazione pensi che ci siano stati dei cambiamenti sostanziali dagli anni ’70 ?
C: Cambiamenti sostanziali non direi, nel senso che i punti più importanti della formazione, l’analisi personale, le supervisioni, la conoscenza della teoria psicoanalitica di base, sono rimasti comunque invariati. Diciamo che anni fa gli allievi erano molti di meno, e spesso erano persone che arrivavano più preparate, più motivate; quindi la formazione era in qualche modo più libera, più affidata alla loro creatività e alla loro iniziativa. Adesso c’è più gente, c’è una maggiore esigenza di un insegnamento di base eperciò la formazione è necessariamente più strutturata.
Q: Avevamo già parlato prima un po’ della professione; vorrei anche chiederti se pensi siano avvenute delle trasformazioni nel modo in cui noi svolgiamo oggi la nostra professione?
C: E' stato fatto un cammino e ci sono quindi dei cambiamenti, anche se penso che le coordinate di base siano rimaste quelle. Però certamente andando avanti in questi anni si fa molta più attenzione al rapporto, alla relazione e alla presenza dell’analista nella stanza d’analisi; in questo senso l’analisi è diventata qualcosa che coinvolge molto di più sia il paziente che l’analista. Poi altri cambiamenti secondo me sono legati ai pazienti, nel senso che noi ci troviamo adesso con pazienti sempre più disturbati, e questo ovviamente ha portato delle modificazioni nella tecnica. Altro cambiamento che è stato necessario è quello di essere molto più aperti alle esigenze pratiche del paziente, perché mentre prima i vecchi analisti tendevano tutti a fare analisi a quattro sedute o tre ed erano molto rigorosi in ciò, noi spesso dobbiamo anche lavorare con pazienti a meno sedute, o comunque accettare che ci sia un momento di preparazione all’analisi. Cioè capita sempre più frequentemente che noi cominciamo con una o due sedute e soltanto in un secondo momento riusciamo ad arrivare a tre o quattro. Questo era abbastanza impensabile ai tempi in cui io ero allieva; il passaggio da una o due sedute a tre o quattro non era facilmente accettato. Si tendeva a separare analisi e psicoterapia con una distinzione molto netta, che secondo me adesso non c’è più.
Q: Mi chiedo se tu pensi ci sia una maggiore difficoltà oggi ad avere pazienti disposti a fare un'analisi a quattro sedute settimanali.
C: Penso che innanzitutto noi dobbiamo tener conto del fatto che anni fa c’erano molti meno analisti, quindi non so quanto siano diminuiti i pazienti o quanto siano aumentati gli analisti. Comunque nella mia esperienza ci sono ancora pazienti che sono disponibili per un’analisi a tre o quattro sedute, con il problema che ti sottolineavo prima, cioè che bisogna spesso portarli gradualmente a questo numero di sedute, che non è più così scontato che un paziente arrivi e cominci subito con questo ritmo.
Q: Vorrei conoscere la tua opinione sui fatti che portarono all’espulsione dalla SPI di Traversa e di Muratori.
C: Guarda, quella è stata una vicenda molto dolorosa e complessa. Ovviamente ci sono stati dei fatti di tipo etico che sono stati fondamentali nell’espulsione; comunque si era creata una situazione di gruppi all’interno dell’altro Centro che rendeva molto difficile affrontare tutte le questioni che riguardavano la situazione collegata a Traversa e alla Muratori.
Q: Ricordi quali sono state le posizioni espresse a riguardo dai membri del nostro Centro?
C: Le persone del nostro Centro si sono trovate coinvolte; a dover poi esprimere un’opinione sono poi stati Tagliacozzo e Tomassini, poiché erano Presidente e Segretario durante la fase finale di questa vicenda; anche Corrao ha avuto una posizione importante perché faceva parte dei Probi Viri che si sono occupati della faccenda. Comunque c’era un grosso dispiacere rispetto a questa questione, ma da quel che ricordo anche un bisogno di fare chiarezza e di riuscire a trovare una mediazione fra quelli che si erano costituiti allora come gruppi anche molto precisi -poiché a un certo punto la vicenda Traversa Muratori non è stata solo una questione di carattere etico ma è diventata lo scontro di due gruppi contrapposti: loro due e i loro allievi da una parte e Jacqueline Amati, Simona Argentieri e Canestri dall’altra, che infatti poi sono uscitidalla SPI. Tagliacozzo a un certo punto ha cercato di trovare una mediazione, anche spinto da alcuni di noi, però lo scontro era arrivato a una situazione così violenta che non ci si è riusciti.
Q: E oggi, a distanza di tempo, che riflessioni credi si possano fare?
C: Ciò su cui oggi io mi sento di riflettere è che forse bisognerebbe affrontare i problemi nel momento in cui nascono, non lasciare incancrenire delle situazioni, che poi diventano sempre più dure e dolorose. Forse da quella vicenda dovremmo trarre questo insegnamento: se c’è qualcosa che sembra non andare sia sul piano dell’analista, sia sul piano di situazioni gruppali all’interno della nostra Società dovremmo cercare immediatamente di parlarne, di chiarirle con le persone interessate e di cercare comunque delle soluzioni.
Q: Tu hai ricoperto la carica di Segretario Scientifico del Centro dal 1994 al 1998. Come consideri questa esperienza? Che cosa ti ha dato e che ricordo ne conservi?
C: La considero un’esperienza molto bella, ne ho ricevuto personalmente un arricchimento, perché mi ha permesso di approfondire una serie di temi, di conoscere meglio le persone del Centro e anche di avere una serie di collegamenti molto importanti e approfonditi con persone di altri Centri italiani e stranieri. Questo è stato molto bello. Ricordo incontri particolarmente interessanti come quello con Anne Alvarez, che ho invitato per due volte, poi con Dina Vallino e con Partenope Bion; insomma ci sono state tante occasioni di approfondimento, di discussione, di ampiamento di orizzonti. Un’esperienza arricchente.
Q: C’era apprezzamento e partecipazione da parte dei membri del Centro?
C: I primi anni sono stati ricchi e ho sentito molte persone che collaboravano volentieri. Abbiamo fatto molte riunioni di grande interesse, oltre quelle che ricordavo prima. Avevo cercato, insieme agli altri dell'Esecutivo, di coinvolgere molti anche nelle serate cliniche e nel lavoro con i bambini. E ho sentito indubbiamente un movimento di apprezzamento e di interesse per quel che si andava facendo. Poi andando avanti tutto ciò è venuto un po’ meno, perché come avviene spesso, quando si fa qualcosa si suscitano anche delle critiche, dei risentimenti, dei malcontenti.
Q: Per concludere vorrei mi commentassi una frase di Nicola Perrotti tratta da un articolo dal titolo “Osservazioni sulla nozione di responsabilità” pubblicato su "Psiche" nel ‘64. Scrive Perrotti.: “Il sentimento di responsabilità ci appare indissolubilmente legato al sentimento di colpa, che tanta parte ha nella costituzione della personalità, ma soprattutto al sentimento di libertà. ( ... ) Un sentimento di colpa che precisamente deriva dalla consapevolezza che noi eravamo liberi di comportarci in modo diverso da come effettivamente ci siamo comportati.” Ritengo sia un articolo molto interessante, che affronta temi cruciali come la colpa, la responsabilità, la libertà; temi sui quali tu hai riflettuto e scritto anche nel tuo ultimo libro.Volevo un tuo commento, in conclusione, a queste parole di Nicola Perrotti.
C: Credo che Perrotti tocchi qui temi molto importanti. Nel mio libro “Un tempo per il dolore” li ho approfonditi. In particolare il tema della colpa e della responsabilità. Anche all’inizio ricordavo come, discutendo del mio libro a Pescara, mi sono accorta che c’erano tanti temi che hanno le radici nel nostro Centro e nelle persone che hanno contribuito alla mia formazione. Ciò è molto bello perché fa vedere come nel Centro ci sono temi, interessi, suggestioni che sono stati sviluppati nel tempo da tutti noi. Fra questi temi sono certamente importanti quelli della responsabilità e della libertà. Il nostro essere analisti sentito anche come un compito morale ed etico credo sia una caratteristica di come noi del nostro Centro vediamo la psicoanalisi.
Q: Grazie.